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lunedì 16 novembre 2020

RIFLESSIONI: "La morte del pensiero critico, la propaganda e le brutte scritture: taci, critico (titolato), non sei un cazzo di nessuno"

"Chi cazzo sei?"
Insulti, offese, inutile appellarsi agli Antichi, alle fonti indiscutibili. 
"Se dici così sei razzista, fascista, blabla."
Volevamo levarci le etichette, le abbiamo moltiplicate e le usiamo con violenza per sminuire, umiliare chi è competente. E volevamo un mondo "meritocratico". 
"Chi cavolo sei?"
Già, me l'hanno detto più volte. Le parole hanno un peso, ma tra fare critica e offendere c'è differenza. E se tu poni una critica, ecco che vieni tempestato di offese (forse perché la cialtroneria rivelata non ha altri argomenti se non l'offesa e il vittimismo).

Tra l'altro non è successo solo a me. Viviamo un particolare momento storico. Mi piace utilizzare questo termine, a volte ne abuso, ma in fondo ogni momento che passa è Storia. In questo frangente, si può dichiarare la morte del pensiero critico. Tolto ogni substrato kantiano. Tolta ogni scientificità, viviamo "la libertà d'espressione" giunta al suo parossismo. Mi riferisco all'idea di essere liberi di esprimerci, quando il nostro esprimerci è fare opinionismo; che ci sta, a patto che le opinioni che si vestono di autorevolezza siano argomentate. Ma il vero paradosso è il proliferare dei tuttologi e degli incompetenti che mettono a tacere coloro che sanno. Piccoli artigiani dell'argomentazione che mettono puntini sulle i senza imporli. Persone competenti che hanno un solo difetto: non sono famosi e quindi, per quanto possano essere intelligenti, vengono considerati meno di zero, spesso denigrati. E vanno avanti i cavalieri dell'arroganza, quelli che "ho ragione io" e hanno ragione perché la impongono magari con metodi poco puliti. Fanno errori madornali, ma si gonfiano come palloni per una banale poesia scritta con il cuore, dicono. E sei libero di pensarla come vuoi finché la pensi come loro, salvo poi essere contro ogni forma di fascismo. Ecco come muore il senso critico, ucciso dalla smania di apparire e di non essere. 


Il concetto è come quando affermo che: "Quel film non mi è piaciuto per queste ragioni. Ma è oggettivamente un film rivoluzionario per queste ragioni". La componente soggettiva è disgiunta dall'oggettiva. Come dire: "Angelina Jolie non mi piace ma riconosco e sarei scemo a non ammettere che è una bomba sexy".

La critica ci permette di prendere le distanze dall'oggetto delle analisi per rilevarne aspetti negativi e positivi. Uscendo dal nostro gusto personale. Se un libro è scritto benissimo, è scritto benissimo. Se non mi piace non mi piace. Se Fumettibrutti è il caso editoriale del momento, si possono addurre una serie di ragioni oggettive e inconfutabili; che poi non sia rivoluzionaria è un dato di fatto, che piaccia o meno è un dato soggettivo. Di certo di marketing si vive ma poi se seguite Fumettibrutti e criticate ad esempio un Alessandro Baricco tacciandolo di essere troppo legato a certo "marketing editoriale"... ecco sul marketing editoriale siamo in due casi completamente differenti ma analoghi. Pensiamo a fenomeni come Melissa P. o ad altri "fenomeni" e poi facciamo due più due. Le case editrici non campano d'aria, non fanno beneficienza a scrittori che devono pubblicare per forza le loro opere. Le case editrici sono imprese. Punto. 

Le casistiche sono numerose e le analisi sui successi non vanno viste come esercizio di invidia ma come riflessione sui meccanismi della nostra società o di un ambito. In alternativa leggete Fumettibrutti, Baricco o altri, godeteveli (o meno, e qui i gusti sono gusti) e buona lì. Anzi, magari tacete anche se avete gli strumenti critici e sapete fare analisi eccellenti perché poi ci saranno quei fenomeni della critica che affermeranno che lo dite perché siete invidiosi e non perché volete capire come funziona qualcosa all'interno. Non fatevi domande, eviterete le etichette e la taccia di invidiosi. Se poi i fenomeni della critica fanno argomentazioni che a confronto un bambino della materna ragiona meglio, poco importa. E ora, qui, qualcuno mi taccerà di essere saccente. La mia laurea e gli anni a studiare e a smembrare i testi, ringraziano per la taccia, insieme al fatto che non sono nessuno.   

Passo al mio ambito, riagganciandomi a quanto scritto sopra e dico questo: quello che mi spaventa è come la componente ideologica troppo spesso surclassi il lavoro dello scrittore. Parlo ovviamente dello scrittore perché tra le recensioni e i miei libri è quello che ho più vicino. Ma certamente questo tema riguarderà anche le altre discipline. Vuoi perché certo pensiero critico e ponderato è morto. Vuoi perché siamo e viviamo di etichette che invece io aborro. Se però fare una critica formale a un autore significa diventare razzista, fascista, transfobico quando la critica viene fatta da una persona COMPETENTE allora siamo messi male. L'arte soggiogata all'ideologia non è arte, ma propaganda, direi anche subdola. E anche la storia più impegnata di questo mondo se scritta male è scritta male. Riprendiamoci in mano il pensiero critico, la capacità di dire: "Okay il tuo è un bel messaggio, ma è brutto, veicolato male."  L'arte è qualcosa di più e se è vero che non sempre il bello e il buono coincidono, se è vero che anche una cosa brutta può essere arte, è anche vero che la creatività e la capacità di essere artigiani viene prima delle ideologie. Prima vengono le idee che sanno porsi al di sopra di esse.

Oltretutto accettare le critiche argomentate fa parte di quel sistema tanto elogiato che è la democrazia. Tutto il resto è manipolazione e roba da paraculi, in un paese di improvvisati e tuttologi.

Ascoltiamo le critiche di chi le sa argomentare, diamo retta a chi le competenze le ha. E le lacune si possono colmare, ma la voce di chi millanta di essere libero e poi mette a tacere chi è competente e muove critiche ponderate non è diversa da quella del "fascista" (uso il termine duro ma tocca) di cui tanto invoca il fantasma. E lui/lei il primo "fascista" (uso le virgolette a ragion veduta, il concetto di fascismo ha una portata storica tale che la leggerezza con cui viene usata fa pensare), salvo che tu non sia una celebrità. E allora la testa del Grande Fratello, ti dà retta. 


Ora potete anche insultarmi e dire: "Chi cazzo sei, tu, per scrivere queste cose?" Magari dite pure una parolaccia accusandomi di invidia. Peccato che su certi successi non ho mai scritto che sono immeritati, anzi, buon per loro. Analizzare il perché ci sono arrivati è altro. Come valorizzare i talenti silenti.  Poi non lamentiamoci se la cultura è in declino, se la lingua è distrutta, se definiamo capolavori delle cose in realtà furbe e banali.

Nel ricordare che per questa libertà di espressione miglia di persone sono morte; nel ricordare che un sistema democratico (vedere vocabolario) e pluralistico c'è chi ha fatto sacrifici, non lamentiamoci se è tutto già sentito e quando ci sono opere davvero innovative alziamo la spalla. Ricordiamo che anche i famosi, un tempo non erano famosi. Ma il talento era quello. E ci sono persone di talento che non lo saranno mai. La differenza è che se ne parla. 

Buona creatività.   

Foto di <a href="https://pixabay.com/it/users/geralt-9301/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=3083100">Gerd Altmann</a> da <a href="https://pixabay.com/it/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=3083100">Pixabay</a>

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