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domenica 14 marzo 2021

INTERVISTA - Gio Cancemi: vi racconto le mie "Risonanze", racconti e poesie che battono al ritmo di musica

Parole come musica, perché la musica fa parte del suo background. Così nascono le "Risonanze" (Pluriversum) di Gio Cancemi: un libro d'esordio che raccoglie racconti e poesie in cui l'amore echeggia delle note più profonde, intrecciandosi a temi cari all'autore. Conosciamo Gio, penna sinestetica e profonda, con questa intervista.

Ciao Gio, benvenuto! Il tuo punto di partenza artistico è la musica, che poi è il tuo lavoro: su cosa hai costruito il percorso e con quali progetti e specializzazioni?
Ciao, Roberta! Grazie infinite a te e a “La Penna Sognante” per lo spazio che mi state dedicando!
    Sì, sicuramente la musica è stato il mio trampolino di lancio verso un mondo fatto di sensazioni sottili, ma nello stesso tempo profonde, che ha avuto modo di risuonare subito, appena ho avvertito, in tenera età, ascoltando dischi, ma anche musiche - diciamo così, “occasionali” - la sensazione per certi versi sconvolgente di forti brividi e intense emozioni - di cui non conoscevo la motivazione - che mi percorrevano completamente il corpo, come a scuotermi interamente - brividi che sono rimasti invariati fino ad oggi.
    Tutto è cominciato con l’ascolto del brano “Per Elisa” del grande Ludwig Van Beethoven.
Mio padre era solito ascoltare, la domenica mattina, dischi di musica classica, ne aveva una discreta collezione e li riproduceva su un giradischi a mobile - parliamo degli anni 80-90 - che faceva bella mostra di sé nel salotto di casa.
    Ancora oggi quell’esecuzione del brano di Beethoven, su vinile, è la mia preferita di sempre, per suono, delicatezza ed espressione (per chi vuole approfondire è eseguita dal pianista William Steiner e contenuta nel disco “Classic 35 mm, i grandi temi di musica classica nel cinema, 2”) e da lì decisi - anche se forse non si può parlare proprio di “decisione” - di voler diventare un pianista, di “scoprire” il segreto di quella magia, o forse soltanto di farne in qualche modo parte.
    Iniziai letteralmente a sognare di suonare il pianoforte, comprai lo spartito di “Per Elisa” senza sapere nemmeno decifrare ciò che c’era scritto e, grazie anche alle lezioni di musica alle scuole elementari e medie, cominciai piano piano a decodificarlo (imparai, per esempio, che il pentagramma affidato alla mano sinistra si legge diversamente da quello della destra… per entusiasmo, appena ebbi imparato la lettura in chiave di violino, leggevo entrambi i pentagrammi nello stesso modo, trasformando così Beethoven in Schoenberg e, per giunta, non capendo…!).  Intanto ricavavo a orecchio le note di ogni musica che mi piaceva e le provavo sul flauto o su una tastiera per bambini, con i tasti piccolissimi. 
    Tutto questo questo spinse mia madre a farmi prendere lezioni più seriamente presso lo Studio Musicale “Alessandro Po” di Modena, una scuola privata della mia città, pur non avendo ancora neppure la strumentazione adatta - tanto che le prime lezioni furono un disastro! -… non ho mai mollato, però, e alla fine, gradualmente, mentre rimanevo sveglio fino a tarda notte per provare e riprovare passaggi e brani, con la dotazione di una tastiera elettronica a “misura d’uomo” prima e, finalmente, del sogno di un pianoforte acustico poi, con tutta la dedizione e l'impegno possibili sono riuscito a farmi tramite e interprete di tutti i miei pezzi preferiti che da bambino erano le porte per un mondo e un linguaggio che mi chiamavano in modo chiaro e irresistibile. Il resto, come si dice, è storia… personale, in questo caso.
Ancora oggi “Per Elisa” è il suono della mia passione per la musica e il pianoforte ed è un brano che so a memoria e di cui non dimentico, e non posso dimenticare mai, neppure una nota.
    In seguito ho sempre studiato privatamente, lavorando un po’ nel mondo della musica come insegnante e pianista in vari progetti (fra i quali anche l’accompagnamento per cantanti al Circolo Lirico di Bologna, città dove ho frequentato e concluso la Facoltà di Lettere), fino a iscrivermi in Conservatorio e a conseguire il diploma sotto la guida del Maestro Alberto Arbizzi, cercando anche di bruciare il più possibile le tappe.
    Qui ho ottenuto diverse borse di studio come accompagnatore di cantanti, che ancora oggi è la mia specializzazione principale. Ho vari progetti all’attivo come l’attività di Pianista per la Compagnia delle MoRe di Modena (compagnia che mette in scena musical), il ruolo di pianista nel gruppo jazz “Cosmopolitan” di Modena, nel terzetto swing “Le Tre Civette Sul Comò”, nel quartetto “Quadrìo” (insieme a mio fratello Roberto e ai soprani Elisabetta Tagliati ed Elisa Esposito) o la produzione discografica e live nel Duo Echoes & Memories con il soprano Elisabetta Tagliati, una cara amica conosciuta negli anni del Conservatorio; insieme abbiamo un repertorio molto vasto che spazia attraverso differenti generi, dalla lirica al “leggero”, sempre con un’impronta raffinata, elegante e anche molto personale (se volete ci potete ascoltare anche su Spotify).
    Attualmente, poi, frequento la specializzazione per Maestro Collaboratore al Conservatorio di Bologna (sotto la guida della prof.ssa Eleonora Leonini) e la Belcanto Academy, accademia di alto perfezionamento musicale per cantanti e pianisti della provincia di Trento.

Come si intreccia la scrittura alla tua anima musicale?
Sicuramente anche la scrittura per me è musica, in prosa e in poesia.
Le frasi, perché mi piacciano, devono avere una cadenza, un andamento quasi melodico… e se questo non accade, il tutto mi sembra assolutamente “stonato”, come se mancasse qualcosa.
In poesia questo aspetto si fa sentire di più, con effetti fonosimbolici, rime, assonanze e quant’altro.
Ma, ripeto, anche la prosa sicuramente ha una sua “partitura”, o almeno questo è sempre quello che sento mentre scrivo.
Non a caso, credo, anche in antichità, il Poeta è sempre stato un “cantore” e scrive, appunto, “canti”.

Arriviamo a “Risonanze”: si tratta di una raccolta di racconti e poesie scritte in diversi momenti della tua vita. Come mai hai deciso di raccoglierli? E hai seguito un particolare criterio nella scelta?
“Risonanze” è il mio primo libro che raccoglie racconti e poesie. Ho deciso di unire le due tipologie di testi proprio per dare anche ai racconti dignità e “direzione”. Sicuramente il mio modo di scrivere dal 1993, anno in cui ho composto la prima poesia, è molto cambiato e volevo che ne rimanesse traccia, anche perché gli ultimi scritti esplorano un lato del mio sentire più maturo e consapevole che in passato sicuramente non avevo capacità di afferrare, anche se rimane, comunque, ancora e sempre sfuggente.
    Il criterio di scelta è stato principalmente il gusto personale, ma anche il livello plurimo di senso, la stratificazione di significato che traspare dai componimenti e che spero di comunicare anche a chi legge.

Parliamo dei racconti: trattano argomenti differenti ma sono collegati da alcuni elementi che, in un certo senso, uniformano la tua poetica rendendo il tuo stile riconoscibile. Mi riferisco, in primis, alla presenza della musica, ma anche a una visione “romantica” dell’amore, un qualcosa che sembra sfuggire dalle mani, come sabbia o come… musica. Inoltre molte atmosfere che richiamano i noir, pur non scrivendo esattamente racconti noir. Che cosa puoi dire in merito?
Esatto. Anche il titolo del libro lo denuncia. Come dicevo prima, le “Risonanze” sono eternamente sfuggenti, ma sono anche la parte più importante e autentica del nostro esistere.
Le Risonanze sono “l'autografo di Dio quando vuole rimanere in incognito”.
    Sono quelle vibrazioni che si rispondono fra loro, che non sappiamo capire, ma che ci guidano l’anima, quando meno ce lo aspettiamo. Sono le brecce in quella che chiamiamo realtà e che si affacciano su un “mondo parallelo” fatto di sensazioni, di cui tutti abbiamo esperienza e sentiamo l’estrema autenticità confrontato a tutto ciò che possiamo “vedere”.
    Tutto questo, sulle prime, potrebbe apparire magia, ma in realtà è il barlume immenso, nascosto, cangiante e sfuggente della nostra Essenza e di ogni materia, anch’essa, come sosteneva anche Pitagora, soltanto vibrazione, quasi musica solidificata.
    L’Amore, poi, è la “risonanza” più inafferrabile. C’è una frase a cui sono molto legato che esprime, secondo me, in maniera magistrale questo concetto: “Prima di amare impara a camminare sulla neve senza lasciare impronte”. Da queste parole si avverte quasi in maniera sensoriale l’estrema difficoltà - al limite dell’impossibile -, ma anche l’estrema delicatezza che richiede il sentimento, oggi più che mai.
    L’amore di cui parlo, oltre a essere quello complementare - anche nel suo aspetto più sensuale e unificante - fra un uomo e una donna, è “romantico”, come dici tu, in senso storico, cioè anelante all’Assoluto. Molti racconti - il primo che ho scritto, “La Lettera”, in primis - trattano l’amore in questo senso, quasi come un destino, una tensione verso un infinito irresistibile, irrinunciabile ma inafferrabile che, in un certo senso, non si accontenta quasi mai di concretizzarsi. C’è da dire anche che, con gli anni, le cose sono un po’ cambiate dentro di me e, in realtà, questa tensione che penso accomuni davvero tutta l’umanità - anche in maniera inconsapevole - non la attribuisco solo all’amore, ma anche a tanto altro, parte di una sfera spirituale totalizzante.
    L’amore rimane, comunque, una via preferenziale per la piena realizzazione individuale e comune, ma sicuramente ne evidenzio anche gli aspetti contraddittori e “oscuri”, in termini di incomunicabilità, incomprensione, “cecità” verso un "Oltre" a volte a portata di mano, ma che non si riesce a raggiungere perché si sceglie, o non si riesce a non scegliere, di rimanere a terra, inchiodati a meschinità e a zavorre di ogni tipo, psicologico, caratteriale, o a stupidi giochi di potere. “In due è un esercito”, citando Giorgio Gaber, ed è assolutamente vero. In realtà potrebbe essere tutto molto più semplice, credo, ma poca gente risponde davvero alle chiamate provenienti dall’interno e dall’esterno, e si mette, con impegno e fiducia nell’Invisibile, fattivamente in gioco. Per questo l’amore è così bistrattato e viene spesso banalizzato e per questo i rapporti di coppia sono così difficili, molto spesso. Un altro elemento che accomuna le cose che scrivo su questo complesso argomento è il momento di una qualche rivelazione, quasi fuori dal tempo e dallo spazio, il momento in cui, come dice Alessandro Baricco: “… il destino finalmente si schiude, e diventa sentiero distinto, e ormai inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell'avvicinamento. Quell'accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino. Quella è un'emozione: Senza più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino.”; è sempre espressione di un Assoluto il più delle volte negato agli uomini ma, ancora parlando di risonanze, penso che ognuno di noi ricerchi principalmente questa agognata chiarezza, in amore, forse, in particolare.
    E qui mi ricollego alla tua domanda sugli elementi noir. Uno dei miei scrittori preferiti è Stephen King e di lui apprezzo soprattutto la fine analisi psicologica di personaggi e situazioni, dei “mostri”, come dice lui stesso, che non sono entità al di fuori di noi, ma assolutamente dentro di noi… e, aggiunge, qualche volta, se non li si combatte o, nel peggiore dei casi, pur combattendoli, vincono. Gli elementi in qualche modo “soprannaturali” che inserisco hanno, a volte, una componente “sinistra” e inquietante mai fine a se stessa, ma sempre quasi personificazione di uno stato o di un “problema” dell’anima umana. In questo senso, nella maggior parte dei racconti, il mio riferimento può essere il “Thriller Psicologico” cinematografico e letterario, genere che amo particolarmente proprio per questa capacità di scavare in fondo all’animo e guardare in faccia, bello o brutto che sia, quel che si trova. Tutto questo aiuta a capire profondamente se stessi e gli altri, anche negli aspetti più scomodi e oscuri. Se ci si trova in una stanza al buio è molto più facile attraversarla, non inciampare e non cadere, conoscendo bene ciò che contiene e com’è disposto.
    In più, nelle narrazioni, adoro i colpi di scena e i capovolgimenti, forse proprio perché espressione del Mistero, della Complessità e della Vastità di significati, invisibili e non, che ci circonda.
    Mi scuso se mi sono dilungato ma, essendo argomenti molto ampi e sfaccettati, non è facile racchiuderli in poche parole.

Uno degli aspetti pregnanti dei tuoi racconti è il tempo narrativo. Lo troviamo spesso dilatato, in un gioco talvolta spiraliforme, di certo non lineare perché connesso alla percezione individuale. Questo tuo utilizzo del tempo nasce da una particolare necessità di racconto ed è influenzato da predecessori? Penso a Proust… ma anche a Joyce… 
Hai evidenziato un aspetto molto interessante. Ho pensato molto a cosa o a quali autori mi abbiano suggerito questo senso del tempo. Come dici benissimo tu, sicuramente è connesso a una percezione individuale dei personaggi e, si sa, il tempo dell’anima è assolutamente elastico, per non dire che non c’è. L’analisi psicologica, poi, per seguire i pensieri e le riflessioni dei personaggi, ha bisogno certamente di una stasi, quasi, prendendo in prestito un tratto caratteristico dell’Opera Lirica, come fosse il momento dell’Aria, prima e dopo il Recitativo che porta avanti l’azione. Quindi è certamente un’esigenza di racconto, di concentrazione e attenzione all’introspezione, ma senza dubbio è anche una cosa che ho “assorbito” da autori come, appunto, Proust, Kerouac, Celine, Baricco (in questo contesto per una sorta di tendenza al flusso di coscienza), lo stesso King, o anche l’Hemingway de “Il vecchio e il mare”, un altro dei miei libri preferiti di sempre.

Non posso non parlare della musica: la citi, è dentro ai testi, è nel racconto. Come e quanto ti guida?
Come dicevo prima, cerco sempre di far sì che le frasi, in qualche modo, “càntino” e abbiano una loro armonia, un loro ritmo. A volte mi capita di aggiungere o togliere qualcosa perché “stona”; è una sensazione, un istinto, non so come spiegarlo diversamente.
    Cerco di farmi guidare sempre dalla musica, per me è l’espressione di una suprema armonia, anche se esprimo concetti “dissonanti” o se lo scritto assume, volutamente e significativamente, una forma talvolta “frammentata”.
    Addirittura - ti svelo un segreto! - il racconto “Risonanze”, che dà il titolo al libro, per esempio, è nato da una serie d’immagini che mi si sono affacciate alla mente all’ascolto e nell’eseguire il "Notturno" in Do diesis minore di Chopin, opera postuma. Non a caso viene citato alla fine.

Parliamo dei personaggi: si ispirano a persone reali, alla narrativa… altro?
M’immedesimo molto nei personaggi, penso a come potrei anche io reagire o pensare in una determinata situazione e da lì il racconto si sviluppa.
    Molto spesso in ogni racconto ci sono parti di me, anche se “distribuite” nei vari personaggi, con il loro peculiare carattere. Non è esclusa, però, l’ispirazione a persone reali, anche solo per certi aspetti.
    Una volta che la vicenda prosegue, ogni personaggio segue il suo destino e le sue scelte, secondo il proprio carattere e personalità. A ognuno, però, cerco sempre di dare un respiro umano “universale”, quasi simbolico, per far immedesimare anche chi legge in questo o quell’altro, o anche solo in alcuni tratti di ognuno.
    Penso sia bellissimo potersi riconoscere in ciò che è espressione di un altro, significa che c’è qualcosa che ci accomuna tutti, in quanto esseri umani… è il Campo Unificato di cui parlavo prima e di cui parla anche la fisica quantistica… qualcosa di molto, molto vicino alla Verità.

Tra i racconti, ce n’è uno cui sei particolarmente legato? E per quale ragione?
Ogni racconto, ogni scritto, come sai bene e anche se sembra banale dirlo, è come un figlio per l’autore, perciò è molto difficile avere preferenze. Se dovessi per forza scegliere uno dei racconti del libro a cui sono più legato sicuramente sarebbe “L’eutanasia di Icaro”, perché è nato dall’esperienza comunitaria e dagli stimoli di ScriviAmo e perché si è sviluppato in maniera quasi “torrentizia”, tanto che, una volta che la vicenda ha preso l’abbrivio, tutte le volte che la riprendevo per continuare a scrivere, non riuscivo quasi a smettere, le immagini si susseguivano nella mente e si legavano perfettamente l’una all’altra. Probabilmente è stata una risposta a un’esigenza interiore, qualcosa che dovevo dire, che mi ha guidato fino al finale e al suo messaggio, fra le righe e non.

C’è un racconto su cui ha lavorato in maniera particolare e che ti ha comportato una certa fatica?
Proprio perché mischia piani e linguaggi artistici diversi - ma anche qui sentivo l’esigenza di “fermare” in qualche modo il tutto - quello che ha avuto una gestazione più faticosa è stato senza dubbio “Risonanze”. Dopo averlo iniziato l'ho lasciato a maturare parecchi mesi perché volevo afferrare nella maniera più aderente, consonante e variegata le suggestioni date dalla musica di Chopin.
    Poi, quando i pezzi si sono messi a posto e hanno formato il loro disegno, allora è stata un’unica corsa verso la fine.

Il tuo stile è ricco, denso, sinestetico: nella scrittura segui un particolare metodo? Cosa ti ispira, su cosa punti e cosa, invece, non sopporti o eviti di fare?
Le tue parole mi lusingano molto, grazie!
Sono felice che tu abbia avuto queste sensazioni nella lettura.
    Non seguo un particolare metodo. L’”ispirazione” può nascere da tutto e quando meno la si aspetta. Come ho già detto può essere un brano musicale, un concetto, un lato dell’esistere che si vuole esprimere ed esplorare, molto spesso è un’immagine, una scena situata in un punto non identificato del potenziale racconto, che cerca il suo posto. Da lì si costruisce, andando indietro o avanti e tutto prende significato e una scena segue l’altra, come in un film. Si dice che il gesto dello scrivere serva anche per mettere “ordine” - personale, se si vuole, ma pur sempre ordine - e, da questo punto di vista, sono molto d’accordo. Da qui nasce la voglia di trasmettere un messaggio, sensazioni ed emozioni, e ciò che di più caro e bello possediamo in quanto esseri umani.
    Tendo sempre ad avere uno sguardo e un pensiero “obliqui”, che gettino nuova luce sulle cose e portino nuovi punti di vista e significati. Di conseguenza quello che non sopporto è la banalità, intesa non come semplicità - che in verità si raggiunge solo attraversando la complessità - ma la peggiore superficialità, lo svuotamento di senso a favore di luoghi comuni e altro. Anche per questo, forse, tornando ai discorsi precedenti, nelle storie amo i colpi di scena e le rivelazioni improvvise.

Vengo alla poesia: precisa, densa, ma anche molto variegata per temi e sentire. Da cosa nasce l’impulso poetico?  
La genesi di una poesia, per me, è ancora più evanescente rispetto a quella di una storia. Mentre lì si parla di immagini quasi cinematografiche o scampoli di vicenda, nel caso della poesia tutto nasce dal sorgere di una sensazione tremendamente impalpabile. La volontà di capire quella sensazione, di spiegarla, ma anche di darle in un certo modo consistenza e vita porta a cercare immagini e modi per esprimerla. Le parole, se accostate in un certo modo, possono dare sensazioni e impressioni molto immaginifiche e irreali. Giuseppe Ungaretti, uno dei poeti che amo di più e a cui m’ispiro moltissimo per la sua capacità di sintesi, ermetismo e senso “d’illuminazione”, diceva che accostando parole anche lontanissime fra loro si crea un cortocircuito: è da lì che nasce la poesia.
    Per me è una sorta di consolazione, un modo di allontanarsi dalla realtà, di sognare, di dire molto, spesso con poche parole, e di evidenziare, specialmente con l’utilizzo di ossimori, la compresenza degli opposti e tutte le contraddizioni della vita.
    Per questo i temi sono molteplici: perché lo stimolo ad afferrare l’evanescenza delle sensazioni può nascere per diversi motivi e in diversi contesti, ma sempre con l’intento di spalancare, in qualche modo, la porta su un Altrove intravisto.
    Sono, poi, molto contento che tu definisca le mie poesie come “precise”. Penso che uno dei maggiori compiti e risultati dello scrivere sia quello di riuscire a “dare nomi alle cose”, in modo da poterle capire meglio e far riconoscere in esse te stesso e anche gli altri. Se ogni tanto si è “precisi” e ci si riesce, in un qualche modo, si può essere solo umilmente grati di essere riusciti a vederci un po’ più chiaro.

C’è sempre un senso di attesa… qualcosa che fugge…
Alla fine tutta la vita può essere vista come un’attesa, no?
    Nel frattempo continuiamo le nostre storie, facendo del nostro meglio… e c’è sempre qualcosa che fugge, e che non facciamo che rincorrere…

Ma anche un’eleganza di immagini, una delicatezza… rabbia levigata? Malinconia?
La rabbia sicuramente è un elemento presente… la rabbia che nasce dallo scarto fra Ideale e Realtà e che stimola a dire e a fare qualcosa.
    Anche la malinconia spesso nasce per lo stesso motivo, ed entrambe, come dici bene, hanno un carattere levigato, che cerca una Bellezza quasi cullante e consolatoria.

Dal punto di vista della versificazione, del lessico, segui una procedura?
No, non una particolare o ricorrente. Scrivo la cadenza delle parole che mi risuona in testa, o magari, la frase, possibilmente significativa, che mi si è affacciata alla mente, poi da lì continuo a sviluppare il concetto e le sensazioni seguendo “melodia e ritmo”. A volte questo mi porta verso rime e assonanze: assecondo la cosa, perché per me la rima è anche illuminazione e quasi associazione spontanea di parole.

Parliamo di ScriviAmo: hai seguito il corso… quale approccio hai trovato e come consideri la scrittura creativa?
L’approccio mi è sembrato molto creativo e interessante, volto a “scardinare” un po’ certe resistenze e, come già detto sopra, mi ha fornito davvero molti stimoli, anche per l’interazione con gli altri partecipanti al corso.
    Penso che i corsi di scrittura creativa, se concepiti con l’intento di massimizzare le potenzialità creatrici di ognuno e non come un insieme di “regole” da applicare, siano davvero molto utili perché possono dare spazio al “pensiero obliquo” di cui parlavo prima, cardine, secondo me, di un’espressione artistica significativa.
    È stato il caso di ScriviAmo perciò ti rinnovo il mio ringraziamento e i miei complimenti per la tua guida in questo corso!

Prossimi progetti?
A chi leggerà “Risonanze” dico che sto lavorando da tempo a un romanzo che ha per protagonista Art Owen, il detective del racconto “L’Eutanasia di Icaro”: sarà una storia che tratterà di musica, psicologia e “mistero”. Un lavoro lungo, ma piano piano, con il tempo, arriverò in fondo.
    In più alcuni racconti usciranno - e altri sono già usciti - in diverse pubblicazioni antologiche, risultato di concorsi letterari che hanno selezionato alcuni miei scritti: in tempi di pandemia ho partecipato anche a un concorso che prevedeva la stesura di un racconto alla settimana da dieci incipit suggeriti, e mi piacerebbe raccogliere tutti quei racconti in una pubblicazione a parte.
    La composizione di poesie continua come anche di un prossimo racconto nato da questo ulteriore corso di scrittura creativa “ScriviAmo”.
    Dal punto di vista musicale, ogni mese con il Duo Echoes & Memories si continua a pubblicare su Spotify, You Tube e altre piattaforme musicali un brano singolo piano e voce, di genere vario, in attesa che si possano tornare a fare concerti dal vivo.
    Con Elisabetta Tagliati dovremmo andare anche in Russia per un concorso lirico nel quale siamo risultati fra i finalisti. Speriamo si possa fare.
    Abbiamo ulteriori progetti in ballo, anche importanti, per ora messi in stand-by dalla situazione presente.
Anche il Conservatorio di Bologna e la Belcanto Academy, poi, sicuramente daranno stimoli e occasioni per lavorare in modo creativo.
    Io, da solo, inoltre, pubblico spesso sul mio canale You Tube interpretazioni al pianoforte di pezzi di vario genere, perché la musica e l’arte, almeno dal punto di vista personale, non le può rubare nessuno!

Se vuoi aggiungere altro…
Ringrazio ancora te e “La Penna Sognante” per questa bella intervista, queste belle domande e avermi dato possibilità e spazio per parlare di tutto.
    Spero di aver incuriosito chi ha letto queste parole verso quello che ho scritto e il libro e spero, soprattutto, che i testi lì raccolti possano trasmettere qualcosa, emozioni e riflessioni a chi mi dedica un po’ del suo tempo, oltre al puro intrattenimento nel leggere le storie. 

“È ormai chiaro al cor il posto al mondo
e scelgo ancor di star presso quel fonte
dove van pochi, a dissetarsi d’opre:
Arte!... Finch’io veda del Tempo il fondo.”
(Da “In Bianco E Nero”)

Grazie infinite a tutti!

Link e Contatti:

Spotify Echoes & Memories
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1 commento:

  1. Carissimi, vi segnalo l'intervista a un autore che sicuramente si farà strada nel mondo dell'editoria. La Penna Sognante: INTERVISTA - Gio Cancemi: vi racconto le mie "Risonanze", racconti e poesie che battono al ritmo di musica.

    questo è il link
    http://lapennasognante.blogspot.com/2021/03/intervista-gio-cancemi-vi-racconto-le.html
    buona lettura

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