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venerdì 4 novembre 2022

"Fiammiferi" (Gattomerlino Edizioni): l'esordio poetico sorprendente di Valerio Righini

Ci sono poesie che si focalizzano sull'Io: il lirismo che dal Novecento che ha portato alla frammentazione dei versi e dei gesti poetici. E ci sono poesie che ripercorrono narrazioni, aprendo squarci che ci riportano al vissuto. Non parlo del solo vissuto del poeta, ma di un vissuto che acquisiamo nella lettura; un vissuto in cui ci possiamo riconoscere tutti. Tutto questo accade nella raccolta poetica "Fiammiferi" (Gattomerlino Edizioni) di Valerio Righini, alla sua prima pubblicazione.

Definirlo un esordio soprendente non è un eufemismo: in primo luogo perché i componimenti inclusi nella raccolta "Fiammiferi" (Gattomerlino), non sono una spremuta di ego emotivo, ma dà un colpo al cuore e all'immaginazione, complici immagini spiazzanti e registri che si alternano, tra ironia e disillusione, romanticisimo e cinismo. 

La penna di Valerio Righini spiazza con i componimenti che aprono la raccolta: nel piccione e nell'uomo con le tasche piene di cerini troviamo apparenti nonsense che consumano i dubbi, aprendo squarci sul senso della vita. Un senso che sembra essere riassunto in questi versi: "Pertanto al pari del miglior profeta posso svelare che il mio domani sarà merdoso come il mio ieri." (Il mio domani). La ciclicità del tempo sembra imbrigliare anche i sogni più belli, spezzati dalle evidenze. Il poeta è consapevole al punto che: "Ogni sera/il mio fegato s’ingrossa,/ i miei pensieri si dilatano/se ne va in pezzi il mio Io." (Ogni sera).

La vita scorre e sembra non dare vere possibilità, se non fosse che da parte del poeta c'è la necessità di stabilire dei confini: "«In presenza dei tuoi colleghi»/riattaccò il capo/ «utilizzerai le dovute/  forme di cortesia. In privato/salutami come ti pare.»/«Lo farò, se verrò ricambiato»/Seguitammo a osservarci." (Il rispetto). Accanto, il bisogno d'amore: "Lo so, e sorrido: finiremmo di certo per fare l’amore e parleremmo pure. E sarebbe splendido." (Sai cosa ti vorrei chiedere?).

Con i suoi versi, Valerio Righini fa cadere il velo delle apparenze. Presenta situazioni quotidiane, anche triviali, che riportano alla prosaicità che non si aspetta nobilitazioni. Non ci sono grandi imprese, il Sogno Americano resta lontano e la consolazione nasce dalle piccole cose: "Serata balorda con gli amici/Segue un terzo bacio/allora/mi tuffo sulle tue labbra/senza indugio alcuno./Volo./Mi guardi di nuovo con gli stessi occhi/di marmellata." (Futuro).

Non manca neppure la beffa a quel concetto d'amore che idealizziamo da sempre e che nella raccolta poetica si palesa in altre forme: "Tuo marito non sa/che i veri congiunti/siamo noi due." (Congiunti).Una beffa che mostra i retroscena di una realtà che non corrisponde ai sogni e alle mistificazioni. Una beffa che ci riporta alla vita, come cita qui: "Se fossi ricco mi accorgerei presto/ Di quante volte io abbia ingannato/Me stesso" (componimento 50). 

Il poeta, lontano dalle esaltazioni di certa poesia egoica al limite del narcisimo, ci riporta a quello che siamo: esseri umani che cercano la grandezza ma, in realtà, s'ingannano. Oltre l'inganno, la vita vera, assurda, piena di ossimori, ma anche coacervo in cui è facile perdersi. E, spesso, non ci si ritrova. 

L'intervista a Valerio Righini

Ciao Valerio, benvenuto. Ci racconti chi sei? Formazione, lavoro, passioni.
Ciao Roberta, grazie per l’opportunità. Sono un ex fisioterapista e attuale insegnante di scienze motorie in un liceo di Modena, con la passione per la lettura e la scrittura. Ho una formazione prettamente scientifica, tuttavia, nel corso dei miei studi universitari, appena ne avevo la possibilità inserivo nel piano di studi qualche esame letterario.

Come nasce la tua passione per la scrittura?
Sono innanzitutto un lettore, dalla mia voglia di leggere nascono i primi racconti. Ero un bambino di dieci anni o giù di lì. Aspettavo l’uscita di alcuni libri che mio padre, cartolibraio di San Felice, puntualmente mi portava a casa. Un giorno, spazientito perché i libri tardavano ad arrivare, mio padre disse: “Perché non scrivi qualche racconto tu, nell’attesa?” Così iniziai a scrivere e scoprii che mi piaceva.

“Fiammiferi” è la tua prima opera edita? Hai dei precedenti di pubblicazione?
È la mia unica opera. Per anni ho scritto senza velleità di pubblicare, poi ho deciso di mandare i miei testi a qualche editore selezionato.

Come nasce "Fiammiferi"?
Nasce soprattutto da un bisogno vanaglorioso. Volevo sapere se i miei racconti e i miei versi potevano piacere non solo ai miei famigliari più stretti. Ed ecco spuntare questa casa editrice romana che ha deciso di pubblicarmi totalmente a proprie spese.

La prima cosa che colpisce è la narrazione che troviamo nei tuoi componimenti. Raccontare è stata un’urgenza o rappresenta la tua cifra stilistica?
Raccontare è tante cose: è uno sfogo, è terapeutico, quindi è necessità.

Il quotidiano irrompe nei tuoi versi, caricandosi di molteplici significati. Una scelta o una tua visione? Sacro, profano in che misura?
Trovo particolarmente interessanti le sfumature che si celano dietro a gesti routinari. Forse è il mio modo di evadere, quello di prendere l’ispirazione dalla - spesso - noiosa realtà e costruirci attorno un’impalcatura di riflessioni e, talvolta, stravolgimenti.

“Fiammiferi”, che dà il titolo alla raccolta, ci mostra un uomo pieno di cerini che chiede un cerino al Poeta. Credo che sia rappresentativa della poetica di questo libro… ce ne vuoi parlare? A cosa alludi con questo personaggio? 
È una domanda difficile a cui rispondere, trovo molto arduo spiegare questi versi. "Fiammiferi" è una delle poesie che più è piaciuta alla mia editor, a tal punto da dare il titolo al libro. È un’immagine che mi è balenata alla mente senza una causa apparente, a essere sinceri. È un riferimento all’inutilità delle azioni dell’uomo, e forse (dico forse perché, davvero, non so darne una spiegazione razionale) una condanna al consumismo: l’uomo non ha cerini e non ne ha bisogno (perché dovrebbero servirgli dei cerini?), ma se ne ritrova un pugno.

Ci sono diversi riferimenti ai rapporti sentimentale e alla sessualità e l’impressione è che emerga un disperato bisogno di evadere… con l’impressione di un vuoto dell’essere e dell’amore. O c’è un disperato bisogno di amore? 
Come dicevo in una domanda precedente, c’è soprattutto bisogno di evasione. O anche un certo bisogno di attenzioni in generale, ma questa è un’altra faccenda.

Nei tuoi versi troviamo un senso di impotenza: il poeta (l’essere umano) sembra in balia di forze cui non può sottrarsi. La poesia a pag. 42 (senza titolo), ad esempio, parla di ragazzini che sognano di evadere ma alla fine restano nel paesello natio. Il senso di impotenza nasce da una sorta di inettitudine? O è semplicemente realismo?
Una commistione tra realismo e inettitudine, direi. “Se puoi sognarlo, puoi farlo” è un motto che non mi appartiene. E’ semplice e surreale credere che davvero, coi soli propri mezzi, si possa ottenere qualsiasi cosa. Questo non vuol essere un giustificativo ai fallimenti, sarebbe sbagliato. E’ prendere coscienza che nella vita ciò che accade non sempre dipende da te. Dunque il senso di impotenza va contrastato, certo, ma non possiamo contare solo su noi stessi.

Troviamo anche poesie legate alla Pandemia. Cosa ci veicoli?
Per tutti è stato un grande spartiacque. Ricordo quando nel maggio del 2020, al termine del serratissimo lockdown, si esaltava il ritorno alla normalità. Notai un ritorno anche degli aspetti più beceri della nostra vita, e quindi mi sono domandato quanto davvero ci mancasse questa agognata libertà.

Le tue poesie fondono registri diversi, ma si avverte un retrogusto amaro. C’è spazio per la speranza? 
Certamente. Senza un lumicino di speranza nulla avrebbe senso.

Dal punto di vista stilistico, come hai lavorato? La tua parola si scolpisce nel tempo o nasce dal senso dell’urgenza di esprimerti?
Spesso scrivo di getto, ma il più delle volte cerco di ponderare le parole, di fare le scelte stilistiche e lessicali più adeguate (con la speranza di esserci riuscito).

C’è un’eredità che senti di avere raccolto a livello di narrazione e/o poesia? Hai maestri o ispiratori?
Bukowski è certamente uno dei miei autori preferiti: mi piace la sua schiettezza, la sua crudità. La mia formazione spazia parecchio. Poesia o prosa in base al momento e al bisogno, così come gli autori: dai classici di fine ‘800 fino ai giorni nostri.

Progetti? Cosa vorresti scrivere?
Al momento sono soddisfatto di aver pubblicato un libro. So bene che c’è tanto da migliorare e da imparare. Penso che continuerò a scrivere poesie, poi chissà.

Sito web Gattomerlino Edizioni: clicca qui

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