Il bianco definì il nero una macchia di inchiostro. Era la verità fluida.
Il nero definì il bianco una spruzzata di borotalco. Era la verità particellare.
I due colori stabilirono dei confini. Si separarono, vedendosi diversi. Persero la varietà, il sorriso, insieme al senso del proprio essere. Della propria ricchezza.
Il bianco e il nero si guardarono da lontano, definendosi uno spazio a sé. Senza unione, senza sfumature.
Ma poi accadde che un sipario di nebbia cercava di essere grigio. Ne aveva bisogno, così chiese al nero un supporto e quello glielo diede. Poi andò dal bianco cui chiese un po' di sé; ma il bianco la rifiutò. Non voleva mischiarsi al nero, perché in quel modo avrebbe perso qualcosa di sé.
Ma la nebbia insistette: lei aveva bisogno del bianco e del nero. Il nero era il lato scuro e appiccicoso, il bianco il lato più luminoso. Così risultava il grigio. Così era ricca.
Il bianco continuava a stare sulla sua posizione, finché la nebbia con la prevalenza nera, non si tuffò nel bianco. E allora, i due non colori si abbracciarono, costretti dagli eventi, formando quel colore per cui entrambi erano indispensabili.
Certo, nebbia non piaceva a tanti, ma esisteva con la sua fusione di essenze, l'indefinito che calava come un sipario sulla Terra.
E allora il bianco sorrise al nero e il nero al bianco. Tutti e due servivano anche insieme.
E le parole tornarono a fluire.
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lunedì 8 aprile 2024
Il bianco e il nero: una favola sul senso delle parole
C'erano due parole. Una bianca. L'altra nera. Due colori, due indicazioni. Nessun dispregiativo. Il loro incontro era anche lo scontro, gli opposti che si fronteggiavano sulla pagina bianca. Bianca era la pelle di Biancaneve. Nera, l'anima di una strega malvagia. Lo Ying e lo Yiang, a collaborare, perché non sempre esisteva o il bianco o il nero. A volte si sfumavano. Ma un giorno il bianco si offese e il nero fece lo stesso. E qui, l'incidente scatenante da cui parte la favola.
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