"Lacrime di eternità": la trama
Bethel, Capoclan celta, ha incarnato una profezia dando vita a un Semidio, Jarlath. La vita della donna è stata scossa da amore ed esperienze mistiche, tanto che al momento di abbandonare la vita viene trasfigurata in un salice. Noi vediamo il mondo attraverso le sue foglie, ma il cuore di donna e madre continua a battere, pregando e riflettendo per il proprio popolo, pur con ritmi e punti di vista silvani. La donna non riesce a darsi vinta davanti alla sofferenza e all’incombere di una furiosa guerra tra i propri figli, un conflitto che si scopre risiedere tanto tra le due fazioni quanto all’interno dei personaggi principali. L’interesse di molti si concentra sul salice, che diventa per alcuni oggetto di culto, ma nessuno saprà mai se l’albero ha poteri magici o se è il ricordo di Bethel nel cuore dei personaggi a promuoverne l’evoluzione. Il salice, tormentato dal ricordo della donna, subisce numerose mutazioni grazie alle quali riesce a comprendere ed accettare la propria situazione, fino a staccarsi dal mondo materiale e confondersi col tutto, in attesa di una nuova rinascita. Ogni protagonista attraversa la propria guerra personale e la consapevolezza maturata sarà determinante per le sorti della battaglia finale. Un romanzo profondamente intimista, che offre riflessioni preziose e sensibilizza verso il legame dell’uomo con le proprie radici situate tanto nelle profondità del sé quanto nella Natura. Questo libro, fedele trascrizione di un sogno durato 2 mesi, è un "fantasy" molto inconsueto che strizza l’occhio al mondo esoterico.
La recensione
Ci sono evidenze e verità che appartengono alla sfera della spiritualità. Spiritualità non significa aderire a un culto specifico, anche se in "Lacrime di eternità" vediamo tutta la ritualità ancestrale legata alla ruota del tempo e delle stagioni; spiritualità è prima di tutto un modo di essere al mondo, di viverlo, di sciogliersi nello scorrere del tempo di cui perdiamo la cognizione nel corso degli eventi. Accade anche qui: il tempo scorre, scandito dai sabba che conducono le persone a circondare un salice. Il salice in cui si è trasformata Bethel, protagonista di una vicenda che ci riporta alle "Metamorfosi" di Ovidio che attingono a un altro divino; ma sempre trasformazioni sono.
La vita come ciclo, da cui emergono tutte le istanze e le caratteristiche umane. La guerra come esigenza primigenia, la vicinanza agli dei che convalidino le azioni terrestri, in una continua ricerca di conferme dalla parte umana che aspira all'eternità. Ma anche la potenza delle relazioni, in particolare quelle che legano i genitori ai figli, in un rapporto di trasmissione di missioni, come a eternizzare, anche in questo caso, la persona. A questo si aggiungono le fatalità che imbrigliano i personaggi a degli obblighi.
Jarlath non sembra destinato all'amore, ma un amore è dentro di lui, potente. Per non parlare delle figlie di Bethel, Duana e Neala, cui si aggiunge Wynn: il tre diventa il numero perfetto. Ma il tre si definisce con Bethel, Duana, e Neala, rispettivamente Madre, Figlia e Sorella, il femminino sacro che si addensa di simbolismi potenti. La maternità ha un ruolo centrale, si riferisce alla vita ma anche alla capacità di far fluire energie primigenie, come accade nel salice messo in pericolo dalla presenza del fuoco, distruttore ma anche purificatore, minaccia e salvezza.
Tutto è sacro in questo romanzo, anche ciò che attiene alla carnalità. I personaggi scivolano nei loro ruoli, tra contrasti improvvisi e tributi che svelano ragioni profonde nell'agire. Amori che si dividono, altri che arrivano, destini fatali che culminano nelle divisioni tra clan e nelle ragioni politiche che governano le azioni umane. Ma anche il battito della natura che spesso trascuriamo ma che fluisce con l'energia di un fiume in piena; natura cui dovremmo tornare a ricollegarci per sentirne il battito pieno e vivo.
La narrazione, dalla prima alla seconda persona, sorprende nel suo effettivo dinamismo: lo spirito di Bethel, forte, indomito ma anche spezzato e al contempo travolto dall'amore per Vessagh e dalla tenerezza per Makena, non domina la scena come pensiamo. La storia è quella successiva alla sua trasformazione e, con una scrittura elegante, forbita e fluida, vediamo con chiarezza quello che muove i suoi eredi, testimoni di un'epoca storica complessa. Entra nei meandri dell'essere umano e poi ne esce narrando gesta epiche, che abbracciano il mito; e lo stile di Elisabetta Tagliati è proprio questo, vicino al mito, di ampio respiro, evocativo ma anche "umano troppo umano". La capacità è quella di racchiudere gli opposti, riportandoci all'unità del tutto, in un messaggio che sembra dover pervenire ai lettori, ponendoli fuori da ogni facile polarizzazione e semplificazione. No, non è un romanzo per tutti, anche se tutti lo possono leggere, complice una scrittura che fluisce limpida, anche se di registro elevato. Ma l'esperienza che ne facciamo è individuale, unica. Magica (e di magia, il blog se ne intende!).
Per concludere
Epico e introspettivo, "Lacrime di eternità" racchiude un sistema umano particolare che è declinabile all'universale, dunque all'oggi. La penna di Elisabetta Tagliati ci fa respirare l'eternità, non banalmente la storia di una donna (e di altre donne), ma la storia di persone che si realizzano nelle relazioni con altri esseri umani, un sacro che ci ancora al tempo, alla vita e alla morte, ricomponendo nelle contraddizioni i principi maschili e femminili, alimento dell'unità che si definisce, dell'identità che nella forza delle segmentazioni trova le proprie ragioni. Una grande epopea, densa di significati che sta a noi cogliere, complice retaggi culturali umani e ancestrali da scoprire e sentire, insieme alla natura che richiama a sé le sue creature. Il più è tornare a imparare ad ascoltarla.
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