Scritture creative

martedì 14 ottobre 2025

"X" di Valentina Mira: una storia potente di violenza, su cui riflettere, oltre le ideologie

Dopo il genere fantastico, torno al mainstream con un argomento che arriva come un pugno allo stomaco. Questa lettura merita una recensione per il connubio di stile e racconto attuale e insieme travolgente. Ma mi dà il la anche per il problema dell'ideologizzazione della violenza (e dei temi posti a qualsiasi livello). 
La violenza può avere più risvolti
; ma quando si tratta di uno strappo repentino, che ha inevitabili e incontrovertibili ricadute sul tuo intimo, sul tuo vissuto, tu diventi prigioniera di qualcosa di più grande di te.
Se poi la violenza affonda le sue radici in un giustificazionismo culturale radicato, la questione diventa ancora più complessa, ponendosi nel bilico tra la necessità di alzare la voce e l'obbligo di tacere, di non poter denunciare. La famigerata omertà che costringe la protagonista a sprofondare nel suo dolore. Un dolore che sentiamo e che spegne ogni speranza. Un dolore che uccide dentro e che incontra e amplifica le difficoltà della vita precaria di una Millenials.  
"X" (Fandango Libri) di Valentina Mira è questo: il bilico tracciato tra questi estremi, il silenzio che scava nell'abisso della disperazione, mentre il desiderio è quello di urlare al mondo quello che si ha subito.  "X" è una storia che arriva come uno schiaffo, una cognizione del dolore potente che lascia il segno. Sulla pagina e nel cuore. Ma sulla violenza c'è da dire molto. Moltissimo. Più di quello che si pensi e oltre le ideologie.  Ecco la recensione. 



"X" di Valentina Mira: la trama

"X" è un romanzo e una lettera. Valentina scrive al fratello con cui non parla da anni per raccontargli quello che ne è stato di lei e soprattutto quello che non ha avuto il coraggio di dirgli in passato. Torna all’estate del 2010, l’estate della sua maturità. C’è una festa, alcol e nelle casse la musica degli ZetaZeroAlfa, band di riferimento di CasaPound. La musica l’ha messa G., amico di tutti lì, anche di Valentina, ottimo studente della scuola cattolica nonostante la celtica al collo (è pur sempre una croce, del resto, e in quell’ambiente non è grave quanto un orecchino indossato da un ragazzo). G. quella notte diventa uno stupratore. Uno stupratore normale in un quartiere normale di un paese normale: nessun mostro, nessuna martire, nessun livido, solo un po’ di sangue sul letto. Valentina non lo denuncerà mai. Esattamente come il novanta per cento delle donne che sono state violentate, quel danno resta taciuto per anni. Con un’unica eccezione, un solo confidente, suo fratello che tuttavia non le crede. Al contrario, si allontana da lei e rimane amico di G., lo stupratore. Dopo quasi dieci anni Valentina decide di riprendersi la propria storia, di spezzare l’omertà e ribaltare la vergogna, dalla violentata al violentatore, restituendola a lui. È questo che ci racconta Valentina Mira in X: il tabù e lo stigma che accompagnano lo stupro, la violenza che porta a sentire il proprio corpo come estraneo. La necessità di una reazione. Scrive un canto di Natale per il fratello che non le ha creduto, lo porta indietro con sé in quella festa di molti anni prima, e poi nel presente in cui nulla funziona perché la violenza è sistemica e non una sfortunata eccezione, infine in un futuro che vede nel diritto a difendersi e ad aggredire l’unica via.

Una storia di violenza: la recensione

Quante facce ha la violenza? Ed esistono forme di violenza più gravi? Pare così. Se poi la violenza getta basi per forme strutturare di idee (ideologie) e potere, va fatta una precisazione: tale forma ha vari colori, anche se storicamente nel nostro paese il radicamento è connesso al periodo fascista. Contrariamente a quanto viene sostenuto nel libro e sottolineo non a torto dal punto di vista della comprensione delle dinamiche, (sarebbe ipocrita negarlo) ma in modo parziale, non si può imputare la violenza come propaggine di un solo schieramento politico; semmai a uno schieramento si recrimina l'uso della violenza per legittimare il proprio potere e per schiacciare l'umanità, al fine di contrastrare tale uso e la compagine stessa. E questo è un conto. Un altro conto è il rischio connesso all'attribuzione della violenza a una sola compagine. L'ideologizzazione porta sempre a una radicalizzazione pericolosa e a conseguenti polarizzazioni. Il rischio è insomma è che si vadano a giustificare alcune forme di violenza, considerandole meno gravi, perché non perpetrate dal nemico prescelto (del momento e in base a come tira il vento). E il rischio è che solo certe categorie di persone vengano definite violente perché si presuppone che esistano buoni e cattivi in maniera assoluta, cosa che non rispecchia la vita. Nella vita, i confini tra buono e cattivo sono sfumati. E di questo va tenuto conto. I comportamenti violenti sono attuati da persone insospettabili e di svariati orientamenti, magari in forma più sfumata come violenza psicologica (clicca qui), ma la violenza va condannata già nel suo essere tale. La violenza viene praticata anche da chi a parole dichiara altro e forse questi sono ancora più pericolosi; subdoli esseri che usano la facciata e la bella poesia ma in fondo sono violenti. 

La questione della violenza è più ampia, radicata nella natura umana. 

Il male che si propina, le fratture che si creano, l'indifferenza verso la vittima che cerca aiuto e che nel gridare riduce la voce a gemiti soffocati. Questi sono gli aspetti da evidenziare e che nel libro esplodono con la disperazione. 
Nella storia restiamo basiti in diversi momenti in cui la richiesta di aiuto viene soffocata dall'indifferenza, dalla totale assenza di empatia, soprattutto da parte di chi tale empatia dovrebbe esercitarla ai massimi livelli

Quello che colpisce di questo libro è come la violenza porti ad arrovellarsi, spingendo a scelte in cui emerge il desiderio di "buttarsi via". La sessualità dipinta per anni come espressione di libertà, qui è colta nei lati peggiori, oscuri, si traduce nell'annullamento del piacere, della gioia della condivisione, nella valorizzazione del proprio corpo, della propria femminilità. Che sono poi gli effetti di una violenza e la volontà, anche inconscia di svuotare un corpo, di annullarne la bellezza, la forza, la vitalità. Lo sfregio, insomma, insieme al dolore, qui raccontati in modo potente. Una violenza che è riuscita nel suo intento, purtroppo.   

E intorno c'è un mondo che non aiuta. Un mondo indifferente al dolore, alle richieste di aiuto, se non sono esibite a livello mediatico e se non portano vantaggio delle vetrine. Tanta ipocrisia che è a sua modo violenta. 
Il mondo che avvinghia una Millenials nella rete del precariato peggiora il tutto.
Un mondo indifferente che accetta la violenza in modo supino e si riempie la bocca di falsa poesia. E questo è il vero punto: l'accettazione della violenza, la mancanza di comprensione, di aiuto quando occorre davvero. Ma anche il riconoscimento della violenza sociale del precariato. Delle ingiustizie subite nel mondo del lavoro, con la dignità annullata, malgrado l'articolo 1 della Costituzione. E il tutto con il paradosso del tema dell'inclusione sventolato da tanti... 

Valentina Mira racconta tutto in un romanzo-lettera viscerale, sincero. La scansione è data dalla parola che fluisce in una circolarità di intenzioni. Le parole scivolano in un flusso inarrestabile che sembra non esaurire la fonte del dolore. E poi, la violenza che diventa rassegnazione, diventa il doversi piegare alle dinamiche del presente. Il precariato, anche questo zittito, oggetto di omertà, sintomo di una generazione che sembra avere perso il bandolo della matassa.

Si può sopravvivere però al dolore? E c'è spazio per la speranza?

Per concludere

"X" ha una chiara impronta orientata politicamente e parla di violenza. La quale va combattuta nelle forme che assume, ma va anche vista in altri luoghi dove si manifesta in modo subdolo e con tanta ipocrisia. In questo libro ci sono anche la precarietà lavorativa, la sensazione di sprofondare in un abisso, l'abisso di se stessi. E c'è un senso di non risolto, un'attesa di Godot e poca speranza. Ma in tutto questo dolore, nello scavo interiore, ci sono le ragioni di un tentativo di salvezza. Una narrazione che apre a più riflessioni. Non condivido l'impostazione ideologica della violenza che è anche fondamento di forme di potere precise (che non nego assolutamente), ma così si rischia di classificare le violenze. E tutte le violenze vanno condannate a prescindere, anche se riconosciute e combattute, perché quello che travolge Valentina è dolore. E questo dolore andava e va ascoltato, capito e supportato, per dare speranza. Perché l'alternativa alla violenza è possibile. Ed è l'amore che qui manca tanto, tantissimo. 


L'autrice: Valentina Mira

Romana, classe 1991, è laureata in Giurisprudenza. Ha fatto la rider, lavorato la call center e come cameriera mentre scriveva per vari giornali e siti, tra cui il Manifesto e il Corriere della Sera. Femminista e anti-fascista, ha pubblicato: "Dalla stessa parte mi troverai" (SEM), candidato al Premioe Strega 2024.

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