La povertà e i sogni di un bambino
Hans Christian Andersen nacque in una famiglia che oggi si potrebbe definire disfunzionale (ma allora poteva essere normale), con retaggi di fragilità psichiche che si accostano alla povertà estrema. Senza contare che, giovanissimo, perse il padre. Il piccolo era dotato di una straordinaria fantasia che lo portava a immaginare altri mondi. Senza contare che fin da giovanissimo coltivò la vocazione per il teatro. Ma cosa avvenne, di fatto? In adolescenza cercò il proprio affrancamento e, nell'inseguire i suoi sogni, riuscì a entrare in contatto con ambienti importanti. Gli studi intrapresi parvero evidenziare una dislessia, ma si tratta di un'interpretazione che si lega a una visione contemporanea; il vero problema fu che nell'infanzia non ebbe una solida istruzione e ciò determinò delle lacune. Tuttavia il giovane intraprese un percorso letterario che lo portò a spaziare tra scrittura teatrale e narrativa, ad arrivare alle fiabe. In quest'ultimo genere di distinse, complice una capacità creativa unica. Andersen incontrò personalità del suo tempo e si aprì a diverse suggestioni, contribuendo a fornire nuove chiavi di lettura e apporti sorprendenti alla cultura del suo tempo. Inoltre viaggiò per tutta l'Europa, Italia compresa.
Le fiabe: tanti temi
La produzione fiabesca di Andersen fu ispirata a una molteplicità di fonti, considerando che non fu un adattatore, ma un creatore.
La tradizione gli diede il la, ma lui ebbe la capacità di farla propria, mettendo da parte creature tipiche, per introdurre personaggi originali. Nelle sue storie non troviamo le figure note delle fiabe, ma personaggi curiosi; la magia sembra alludere alle radici umane e a dinamiche psichiche, più che al sovrannaturale extrasensoriale.
Il tema della diversità è in evidenza, accanto alla duplicità, con l'introduzione di elementi macabri che sembrano strizzare l'occhio al gotico. Nelle sue fiabe ritroviamo sempre un senso di sospensione, l'incertezza forse connessa a un'epoca di forti trasformazioni (rispecchiano certi moti ottocenteschi, secolo di grandi mutamenti, complice i cambiamenti sociali ed economici in atto).
Non c'è nulla di didascalico, nemmeno la tentazione di dare insegnamenti morali. Le fiabe di Andersen hanno una componente sensuale che sfugge alle categorizzazioni.
L'amore appare sempre come un qualcosa di sfumato, un sentimento che può redimere o condannare; ma c'è anche un aspetto di coraggio che porta i personaggi a uscire dalla loro condizione, a volte combattendola, altre assecondandola.
Le fiabe di Andersen presentano un repertorio immenso di temi connessi a un realismo in cui ci possiamo rispecchiare. Una fantasia che, a differenza di Carroll, ci porta sempre a scontrarci con la realtà per pervenire a delle consapevolezze precise.
Per concludere
Andersen, danese dalla vita travagliata, "diverso" che si racconta, è un altro autore capace di fornire chiavi che vanno oltre. Oltre la vita, l'umano, il cielo e la terra. Non soffermiamoci, come accade troppo spesso, alla sessualità: è uno spicchio di un sole grande che splende per la creatività. Quello che è, rappresenta una parte, il tutto sta nella capacità di essere creativo. Per essere creativo occorre essere semplicemente umano e fantasioso. Il resto è solo un tentativo di assegnare etichette, laddove le storie parlano dell'umano che è in tutti noi e ci unisce e accomuna, oltre ogni fazione.
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