martedì 12 dicembre 2017

Zibaldone di pensieri sparsi su "Alice nel labirinto"

L'idea era in testa da tempo. Fin da quando, non contenta e non convinta della  versione Disney, mi sono cimentata nella lettura del classico di Carroll. A quel punto, la scoperta: Alice non è soltanto quella che cade nelle tane di coniglio; Alice attraversa pure gli specchi e gioca a scacchi con la fantasia.
Ora, io con gli scacchi sono una frana (basta insultare le capre!), ma l'anno scorso è arrivata la proposta. E la mia fantasia ha imparato subito a giocare a scacchi. 

Così è nata "Alice nel labirinto."
Perché no? Perché proprio nel labirinto?

Il labirinto è un archetipo letterario dalle fortissime valenze. Se pensiamo a quello del Minotauro, ma anche anche a quello del Fauno della nota pellicola cinematografica, le connessioni sono molteplici.
Prendi poi una storia d'amore, l'attesa dei 18 anni e quella del matrimonio; prendi il solito coniglio chiacchierone che non chiama "Marianna" ma che ancora una volta mette Alice nel sacco. Il pasticcio è fatto.

Perché scrivere il seguito di un classico, accollandosi il rischio dei detrattori pronti a sferrare i loro attacchi? Perché questo romanzo?

"Alice nel labirinto" nasce da un lavoro di ricerca creativo e linguistico consistente. Poesia e prosa si intrecciano. Nasce come gioco, sperimentazione, con una trama diversa e fuori dal coro. Nasce con l'obiettivo di uscire dalle pagine del libro e diventare spettacolo, performance... e altro.

Ma allora... chi è Alice?

Qualcuno pensa che si tratti di una mia biografia mascherata. La cover inganna, ma sicuramente l'esperienza dello smarrimento fa parte di un periodo dell'esistenza (mia e di altre persone). Avviene quando cerchi la strada che ti porterà a diventare grande.
Avviene quando scegli i tuoi sogni.
Avviene quando una storia bussa alla tua porta e tu le apri e ti lasci travolgere.

In fondo Alice è questo.

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