domenica 21 marzo 2021

RECENSIONE - "Gorizia On/Off" di Giovanni Fierro: la "poesia" strapaesana che cerca di guardare oltre la frontiera

"C'è un uomo con la ciste; ma ci sono anche Marco Hlede, Ada Beltrame, Daniela Ferri, Giulio Sartori e altri personaggi che diventano, di volta in volta, i protagonisti di un micro-racconto. Uno spaccato di quotidianità che mostra stralci di fragilità umane. Occhi persi in un cielo dove non è possibile volare. Fugaci desideri che si spengono con la stessa velocità con cui si accendono. Fughe (apparenti), seguite da ritorni coatti. Aforismi scritti su scontrini o su volantini che spezzano un quotidiano fatto di apparenze, tra lattine di birra, detersivi, panni sporchi (quelli che vanno lavati in famiglia) intravisti da una finestra. "La felicità è il lato sbagliato dell'amore" oppure "si nasce male e, per vivere meglio, poi si cresce storti".
Ecco "Gorizia On/Off" (Qudu Libri) di Giovanni Fierro. Un poeta di ottime erudizione, penna e visioni - forse non vulcanico, che vede tutto da un punto di vista "molto maschile" - che dalla sua ha il fatto di rappresentare in maniera incisiva la stagnazione della condizione e cultura italiana che, nel guardare all'internazionalizzazione, a volte enfatizzandola, rischia di risultare ancora più chiusa. Leggi la recensione. 

I personaggi, caratterizzati da un dettaglio fisico o da un'attitudine/occupazione peculiari,  si muovono sulla scena di Gorizia, città di frontiera sempre in bilico. L'identità è il lato di una medaglia pesante; si contamina, lascia interrogativi sospesi e disincanti. C'è un mood malinconico, a tratti "decadente", che accomuna i protagonisti; vite erette sulle fondamenta di silenzi spesso compunti; guizzi di vita che si scontrano con l'ineluttabilità del quotidiano. Gli sprazzi di luce si spengono all'improvviso, assorbiti da un'esistenza che sembra non dare adito a speranze. Speranze tolte a esempio anche ai migranti raccolti sotto la Galleria Bombi; speranze uccise da scelte politiche denunciate dal poeta/narratore ("Vedete mie care creature, qui si può dormire, ma non sognare"). 

Nei racconti di "Gorizia on/off" si ravvisano quei temi già trattati (pur con tutte le differenze del caso) da un componimento quale "Meriggiare pallido e assorto": anche in Gorizia troviamo numerosi riferimenti naturali e ambientali (oltre che, ovviamente, geografici) che alludono metaforicamente all'immobilità della condizione umana, ma soprattutto della condizione italica, malgrado gli sforzi di andare oltre (questi ultimi ricercati dal poeta, a sua volta consapevole di limiti invalicabili legati al suo essere umano). La frontiera è spesso un luogo in cui il sentirsi proiettati alla dimensione internazionale, in realtà comporta una maggiore chiusa e quindi un maggiore provincialismo, da scrittura strapaesana.

In Gorizia i desideri e i sogni sono piccole fughe con ritorni, temporanei sollievi, silenzi che nascondono inquietudini (o rassegnazioni). Dalla finestra sul cortile abbiamo l'impressione di spiare intimità che non vorrebbero essere fraintese. Nel silenzio si consumano anche gli slanci o i desideri erotici sospesi; gambe di donne si offrono, sono compassi, sostegni che sui tacchi seducono, traballano e si slanciano, forse cercando un centro di gravità permanente (consentimi questa citazione di Battiato). Non c'è un effettivo senso del peccato, visioni bigotte che dal vissuto interferiscono; l'erotismo,  fallocentrico, segna il confine della naturalezza più umana, ma anche una certa insoddisfazione che forse solo la poesia può lenire.

Nel silenzio si consumano i sentimenti: la conta di abbracci desiderati che si impigliano da qualche parte, rappresentando una mancata realizzazione. Mancanze che cesellano solitudini. Carenze sentimentali/affettivi/umane che a volte si traducono in smodate compensazioni e dipendenze. Tentativi di spezzare circoli viziosi, spesso falliti. Illusioni di amori che spesso cadono nel vuoto e nell'impossibilità di esprimersi; e forse l'idealizzazione di certi amori permette di illudersi della purezza e della sincerità, con uomini che cascano nella rete di sirene, girasoli appassiti, più simili a erbacce infestanti, che celano altrettante solitudini e sconfitte spacciate per trionfi.  Abbagli che creano ulteriori solchi e dipendenze, in cui il vuoto emotivo incide la pagina con parole affilate. Rose che nell'abitudine perdono il loro profumo, acceso da uno sguardo limpido che è vera bellezza dimenticata. 

I personaggi sono sconfitti. Affogano nella solitudine, vivono ipocrite situazioni, compromessi. Non è tanto male di vivere novecentesco, quanto l'impossibilità di vivere, il lasciarsi vivere che implica l'abbandono dei sogni.

Manca un guizzo di speranza; nel districarsi delle relazioni, non sono citati Social o tecnologie che alludono alla nostra contemporaneità, aprendo così a una dimensione sociale universale, al di sopra delle contingenze temporali. Tuttavia non mancano citazioni (da Carver ai Joy Division) che consentono al lettore di identificare un oggi che è sempre e comunque assimilabile a un ieri o a un domani (rappresentazione di una condizione universale). La trentanovenne che ascolta "Agnese dolce Agnese" è assimilabile all'uomo con la ciste e allo stesso poeta che concepisce il mondo di cui è un perno e in cui tutto sembra una proiezione.

E a proposito di poeta/narratore: la sua visione, molto autocentrata, uniforma le percezioni e lo stesso mood. Le sue parole ci impigliano in una discreta semantica, di certo non innovativa, ma in cui gli elementi del quotidiano aprono le porte a molteplici significati. La forma della prosa non limita il lirismo; lo amplifica, caricandosi di alcuni momenti evocativi. Tocchiamo il quotidiano, camminiamo con il poeta, che non ci prende per mano, ma ci indica delle vie, mostrandoci le varie situazioni filtrate dal suo punto di vista.  

 In "Gorizia on/off" facciamo un piccolo viaggio. Scopriamo scorci, guidati dal poeta/narratore; entriamo nelle intimità che spesso non immaginiamo o, addirittura neghiamo. In fondo ci caliamo nei nostri pozzi neri di desideri e aspirazioni inespressi, a volte impossibili. Ci accorgiamo che il poeta si svela nel nascondersi; racconta molto più di se stesso, senza mai tradirsi, ma lasciando tracce di dubbi, sospensioni tra luci e ombre alimentate di silenzi e qualche improvvisa epifania. A volte ci chiediamo se non sia in cerca di uno di quegli abbracci rimasti impigliati in una qualche selva oscura.   

L'autore: Giovanni Fierro
Nato nel 1968 a Gorizia, dove vive. I suoi testi sono stati pubblicati nelle antologie “Frantumi” (2002)  e “Prepletanja – Intrecci” (2003) e nel dicembre 2004 nella sua prima raccolta poetica, “Lasciami così”, edite da Sottomondo Gorizia. Nel gennaio 2007 ha pubblicato “Acque di acqua”, raccolta di sette componimenti, inerenti al dvd “Jùdrio” dell’artista cormonese Mauro Bon. Gli stessi testi, integrati da nuovi scritti, sono apparsi nell’antologia “Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est”, edita da Fara editore nel 2008.
Nel febbraio 2011 è uscita la sua raccolta più recente, “Il riparo che non ho”, con prefazione di Claudio Damiani e quarta di copertina firmata da Monique Pisolato, edita da Le Voci della Luna.
La raccolta ha vinto il premio “Ultima Frontiera” di Volterra, Pisa. Nel dicembre 2011, cinque suoi nuovi testi a titolo “Una tregua” sono ospitati sulle pagine dell’Almanacco dello Specchio 2010 – 2011, edito da Mondadori. Ha partecipato a varie letture e festival poetici in Italia, Slovenia, Croazia, Austria e Repubblica Ceca. È tradotto in portoghese, sloveno, tedesco, croato, ceco e friulano. È curatore di “Fare Voci. Giornale di scrittura”, rivista on line pubblica che si trova qui: www.isontina.beniculturali.it ed è anche curatore della collana "Fare voci" di Qudu Libri.  
Nel marzo del 2015 è uscito, edito dalla Qudulibri, "Oleandro e garaza", con una nota introduttiva di Marco Marangoni. Al 2017 risale l'uscita di "Gorizia On/Off".
Sito editore: clicca qui


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