venerdì 28 settembre 2018

Il mio Egitto: l'essenziale è visibile agli occhi

Il tramonto sul deserto egiziano
Un tramonto dalle sfumature tra il rosa e l'arancio. Notte che arriva all'improvviso, come se qualcuno spingesse un pulsante magico. Accade a Marsa Alam. Prime due settimane di settembre. Il vento spira dal Mar Rosso portando con sé fiotti di sabbia. Particelle che si sparpagliano ovunque, rimosse dagli inservienti che, all'interno del resort, si occupano di ripulire ombrelloni e baldacchini collocati a bordo piscina. Il deserto è ovunque, ma non è per forza il vuoto. Contiene forme di vita differenti, di certo non comparabili a quelle che brulicano intorno al Nilo, ma ben radicate. Forme di vita scabre che seguono tempi scanditi da ritmi diversi da quelli cui siamo abituati. Esco quindi dal resort per respirare un po' di vita egiziana. E cinque ore dopo, mi trovo a Luxor.



I colossi di Memnone
12 settembre 2018. Il cielo sopra il deserto. Mi ha già colpito durante il viaggio di trasferimento dall'aeroporto al villaggio turistico. Un cielo non contaminato dall'inquinamento magnetico (almeno nella maggior parte dei tratti osservati) e quindi godibile, con le stelle scintillanti accese su un panorama uniforme. Tante gibbosità del terreno, con le dune rocciose che caratterizzano il deserto egiziano.
Come ci spiega la nostra guida, l'Egitto è composto al 90 per cento di deserto. Nel restante 10 per cento abitabile si concentra la popolazione.
Anche in questo 12 settembre, mano a mano che ci avviciniamo a Luxor, osserviamo il moltiplicarsi della vita. Uomini accovacciati ai margini delle strade stringono un fucile tra le mani. Vengo a sapere che molti egiziani collaborano con le forze dell'ordine segnalando movimenti sospetti; insomma, una sorta di controllo del vicinato, ma priva di stendardi e con qualche elemento di minaccia in più (vedi il fucile!).
Più avanti osservo degli edifici incompleti. La guida spiega che le case sono in continua costruzione in quanto ogni piano aggiunto ospita un nuovo nucleo famigliare, discendente dai precedenti. Quindi, una famiglia va al pianterreno. Il primo figlio, una volta sposato, si trasferisce con moglie e prole al primo piano; il secondo piano va al secondo figlio, etc.
Un motorino attira la mia attenzione. Sopra ci sono due giovani senza casco. In due sul motorino... e se li ferma il vigile? Ops, pardon, le regole sono diverse e se vi azzardate a guidare in Egitto, preparatevi a partecipare a un rally a colpi di clacson. Lo stesso autista del pullman fa sorpassi a tutta birra con le colonne sonore di una radio egiziana e un buffo clacson dal suono "paperoso" (vediamo se mi prendono il neologismo)... Insomma, roba da sbiancare!     
Scorcio di Karnak

Torno a una narrazione più ordinaria per parlare dell'arrivo a Luxor.
La visita alla Valle dei Re è la prima della giornata. Scordatevi le Piramidi (per quelli che sono a digiuno di Storia e Geografia) perché qui trovate le tombe dei faraoni del Nuovo Regno a partire dalla XVIII fino alla XX dinastia. Le visite interessano le tombe di Ramses II, Ramses VI e Sethnakht. E qui, l'immersione nel mondo dei cartigli incisi con i geroglifici. La mitologia che si dischiude davanti ai miei occhi, affascinati da un vero e proprio spettacolo narrativo.
Mi inoltro nelle tombe senza staccare gli occhi da quelle immagini che evocano l'infanzia dell'umanità. Divinità che rappresentano il ciclo della vita, sigillate da costruzioni simili a scrigni preziosi.
La mia mente viaggia, mentre la visita continua. Arriviamo ai colossi di Memnone (dalla guida vengo a sapere che Memnone non c'entra, le due statue raffigurano infatti Amenhotep III). Due giganti seduti su un terreno arido, baciati dal sole del mezzogiorno, subissati da scatti che sembrano attendere sempre e da sempre.
Dopo aver attraversato il Nilo, ci fermiamo a pranzare. Un'ora di pausa e poi, via, al tempio di Karnak. Un complesso imponente in cui spicca la "Grande Sala Ipostila" con colonne che sembrano voler toccare il cielo; anzi, lo toccano, lasciando nello spettatore un senso di vertigine. In questo tripudio mi sento come una formica curiosa di catturare piccoli stralci di Storia, ma intimorita da cime inarrivabili.
La formica esce dal tempio, torna umana per poco, quando si dischiudono gli spazi immensi del tempio di Luxor (dopo un pit-stop al Museo del Papiro). Tra obelischi svettanti, il santuario Romano e il naos di Alessandro Magno, si respira un profumo di suggestivi sincretismi. Mi avvicino a un cartiglio e a quel punto, lo vedo. Un coniglio che corre. La persecuzione dei conigli? Una coincidenza? Mi ero ripromessa di non parlare di romanzi (i miei), ma ci sono cascata di nuovo...
Okay, metto da parte pensieri meravigliosi (ogni riferimento è puramente casuale) e seguo il gruppetto dei visitatori.
Un cartiglio a Luxor, raffigurante Alessandro
Magno
Uscita: la giornata sta volgendo al termine. Viaggio di ritorno: gli occhi si chiudono lentamente. Scivolo nel sonno costellato dalle immagini di divinità con teste di animali e corpi umani, intrecciate ai volti che ho incrociato a Luxor. Bambini con il pollice alzato verso i "turisti". Uomini in giro su motorini; famiglie numerose su veicoli scalcagnati; il traffico impossibile; le donne più o meno velate. Un senso di caos in contrasto con le statue immobili  e immense che sembrano voler rammentare un passato inimitabile.
Una voce mi scuote. Rivedo il riflesso sul finestrino appena coperto dalla tendina.
"Siamo arrivati al resort."
Una giornata volata.

Una notte di riposo: mezza giornata mi divide dalla seconda esperienza del mini-safari. Via in jeep, prima su quel nastro di asfalto che si fa chiamare strada, poi tra le dune. Luna-park nel deserto, diretti al campo dov'è prevista la cammellata.
Da qui, iniziano le figure alla Bridget Jones.
"His name is Oscar."
Faccio conoscenza con il cammello su cui dovrò salire. Le goccioline di sudore compaiono sulla fronte, ben nascoste dalla pashmina che mi avvolge la testa. Per inciso, soffro di vertigini, ma è il momento di superare le mie paure, così cerco di salire sul cammello. Ovviamente non riesco. La scusa ufficiale: ho le gambe corte e il cammello è troppo alto per me. La realtà: si può utilizzare una sorta di staffa di legno per darsi la spinta e porsi tra le gobbe. Staffa che nemmeno noto, fino a quando, dopo circa cinque minuti di goffi movimenti, mi viene in soccorso un'anima pia, tra le risate del ragazzo che tiene a bada Oscar. E così, si parte!
Ondeggio con Oscar, borbotto quando il ragazzo accenna a farlo correre (che burlone!) e per la prima volta affronto le mie vertigini... con il cuore in gola da una parte, e la necessità di vincere questa paura dall'altra. Così fisso le dune rocciose che mi circondano, lasciando che i raggi del sole scivolino sulle stoffe con cui mi proteggo dal caldo. Un respiro. Oscar procede pacato, il ragazzo che lo guida - deve avere circa vent'anni - parla in arabo con la guida del cammello accanto, cavalcato da una simpatica signora che ho conosciuto proprio durante l'escursione. Arriviamo alle postazioni di partenza, il mio amico si abbassa, io torno a terra. La schiena duole un po', ma ne è valsa la pena!
Arriviamo quindi alla nota dolente del quad. Metto il casco, mi bardo, mi preparo, sono carica, pronta. (Forse!) Salgo sul veicolo, cerco di prendere confidenza e poi, partenza!? Certo, peccato che inizio a vagare per il campo, inseguita dal ragazzo che mi spiega che devo accodarmi agli altri e invece vado per conto mio. Insomma... i motori non sono il mio forte, così mi obbligano a fermarmi. Salgo in jeep condotta dalla guida che segue il gruppo motorizzato tra le dune fino all'approdo su una magnifica spiaggia, incontaminata. Sabbia, mare e vento ci accolgono come essenza di elementi che non chiedono altro, se non di essere osservati. Mi beo del paesaggio, fino a quando non torniamo indietro per visitare il villaggio dei beduini.

Il deserto al tramonto
Nuovo luna-park, la salita su una duna per fotografare il tramonto sul deserto, il tuffo tra piccoli edifici raffazzonati, strutture che ibridano spesse tende a catapecchie.
Tre donne preparano il pane arabo. Di loro scorgo soltanto gli occhi. No, non sono quelli del deserto di La Isla Bonita di Madonna; sono neri e intensi. come carboni ardenti seppelliti sotto uno strato di cenere fredda. In uno sguardo sfuggente sembrano svelare un baluginio, subito avvolto da una pellicola di pudore.
Una bambina in braccio a quello che dovrebbe essere il nonno, si guarda intorno. Lei, con abiti occidentali; lui con quello tipico, una tunica stropicciata abbinata al turbante color... sabbia! Oriente e occidente: strani ossimori che mi attraggono e mi fanno pensare alle difficili convivenze in un mondo dove tutto potrebbe essere facile, se solo lo volessimo.
Io sorrido posando una carezza sulla guancia della piccola, lei si ritrae con uno sguardo pieno di domande e timidezze.
Intorno, gruppetti di cammelli circondati dai turisti. Non prendo parte alle foto di gruppo. Preferisco osservare quello che mi circonda, fino a quando non veniamo invitati a entrare nella "Farmacia", dove possiamo acquistare le erbe con cui i beduini si curano.
Dai tè, arriviamo alla menta, passando per il tamarindo. Non mancano creme e unguenti dagli aromi ammalianti. Un po' di shopping, prima tornare al campo dove ci aspettano la cena e lo spettacolo.
La ballerina di danza del ventre si esibisce, sinuosa. Ha lunghi capelli neri e il volto da principessa de Le mille e una notte. Danza con il sorriso sulle labbra, coinvolge il pubblico, si scosta quando un occidentale commette l'errore di toccarle il fianco. ("Nooo!", gridiamo tutti.). Per fortuna, tutto fila liscio.
Segue la danza di un derviscio rotante, una Tannurah in cui la coreografia include il gioco con le vesti che creano strabilianti geometrie. La danza evoca il ciclo della vita attraverso il cerchio tracciato dal danzatore: ancora una volta, il rito si esprime nell'arte, in tutta la sua pienezza, fino a inglobare diversi turisti, tra cui anche la sottoscritta. Insieme, seguiamo i suoi movimenti. Piccoli passi che ci coinvolgono in un momento da vivere insieme, abbattendo qualsiasi muro. Battiti di mani che esplodono in un applauso collettivo. Un ultimo commiato prima di scappare sotto il cielo notturno, dare una sbirciata alle stelle, ascoltare i versi di un poeta e ritirarci per riposare un po'.

La spiaggia di Abu Dabab
Un altro giorno si conclude, ne inizia un altro sulla candida spiaggia di Abu Dabab. Il mare in cui fare snorkeling è un piacere, come è un piacere sorbire una tazza di karkadè caldo. Non mancano negozietti in cui sbirciare papiri e magliette dallo stile più o meno egiziano; spesso "meno" egiziano...
La mattina passa in un altro lampo.

Ormai mancano pochi giorni alla partenza. Due giorni, per l'esattezza.
Due giorni per respirare il profumo del mare. Due giorni per riposare, immergermi o passeggiare sulle banchina  da cui è possibile osservare il mare più blu. Un blu intenso, scrosciante contro l'impalcatura di ferro e legno, unico punto fermo nello sconvolgimento degli elementi.
Acqua e vento la fanno da padroni. A loro è bello affidare i pensieri e le pene. Un reset perfetto, lo stesso effetto di una passeggiata sotto la pioggia che ti cade addosso e tu la lasci fare perché ti ripulisce il corpo e l'anima.
Il vento e il mare sono forti, in questa parte di Marsa Alam. Tracciano itinerari che non accettano prigionie. Scivolano sulla pelle, ispirando potenza. Sembrano volerti rigenerare.
Chiudo gli occhi fino all'ultimo giorno.
The end.
L'aereo, la navetta, il treno. Tutto in una notte.
Mi coglie impreparata il senso di straniamento alla vista del verde che caratterizza i luoghi della mia infanzia e del mio presente. Verde, sole, il calore dell'estate che resiste, malgrado sia metà settembre.
Mi sembra strano perché mi sono abituata alle dune e al mare egiziani. L'essenziale visibile agli occhi.
La solita vita, di nuovo.
Gli occhi chiusi, prima di ricominciare, mentre nell'anima sono impressi i geroglifici di un viaggio da ricordare.

Il viaggio delle prime volte.
La prima volta in aereo da sola.
La prima volta fuori dall'Europa.
La prima volta con la barriera corallina.
La prima volta nel deserto, dove si può prendere il tè.
La prima volta su un cammello.
La prima volta in uno schiuma party.
E altre prime volte: ogni viaggio, ogni scoperta è una prima volta.


Il dettaglio: il coniglio nel cartiglio presente al Tempio di Luxor.
Prima di Carroll?

                 

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