sabato 4 aprile 2020

INTERVISTA - Dario Villasanta: "La cultura, la lettura in genere è una cosa seria ma non seriosa. Divertitevi gente, e prendiamoci meno sul serio".

Dario Villasanta
Dario Villasanta non ha peli sulla lingua. Autore di "Angeli e folli", scrittore forse per caso, forse no, è uno che quando scrive "soffre". Ma ha anche fuoco e "picchia duro"(con le parole). La sua franchezza vuole essere un monito a migliorare, ma anche la fotografia spietata di... cosa? Scopriamolo in questa intervista su scrittura, editoria e dintorni.




Dario Villasanta con i suoi libri
Ciao Dario, benvenuto su La penna sognante. Raccontaci qualcosa della tua formazione, delle tue esperienze lavorative, passate, presenti e future.
Grazie Roberta, spero non ti pentirai di avermi intervistato. In caso contrario, mi auguro che almeno tu rida un po’. Dunque, dopo aver lasciato Filosofia (alla Statale di Milano, avevo docenti come Zecchi e Giorello) ho accantonato anche il sogno di diventare giornalista, ma di questo parliamo dopo. Malgrado tutto ciò, il diploma di ragioniere programmatore non l’ho mai voluto usare, ho rifiutato le banche perché ero anche un’aspirante rocker e, ahimè, ho buttato nel cesso due opportunità di pubblicare dischi; ma, in compenso, ho affinato negli anni la capacità di scrivere testi di canzoni. Per il resto, ho fatto gavetta nel commerciale e sono diventato un pubblicitario poi riconvertito all’editoria. È stata dura aggiornarsi nel digitale a quarant’anni, ma mi ha permesso di lavorare come promoter e ufficio stampa per autori ed eventi di respiro nazionale. Sul futuro? Temo che nessuno, ora come ora, possa dirti cosa farà domani.

Leggevo che scrivi fin da bambino. Che cosa ti ha spinto?
Ma che ne so! C’è poi forse qualcuno che sa davvero perché ha iniziato? Dubito! Posso dirti che è stato per spirito di emulazione incosciente, come quando vuoi imparare a cantare perché adori Ozzy Osbourne, e siccome io adoravo leggere – ho imparato a tre anni, ma questa è un’altra storia – è stato naturale provare a imitare i miei paladini dell’epoca.

Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Che cosa l’ha influenzata?
Adesso è a me che viene da ridere a raccontarlo. Posso dirti che è un pessimo rapporto, ecco la verità. Perché non mi piace, soffro quando scrivo. Raramente mi è piaciuto farlo. Mi chiederai allora chi me lo fa fare, e me lo sono chiesto anche io, invero. Provo a definire cosa ci trovo di importante: autoanalisi, sfogo di rabbia, presunzione, incoscienza e, naturalmente, esercizio di vanità. Cosa l’ha influenzata? Tutto quello che vedo intorno a me. Saper scrivere – per chi lo sa fare, di solito meglio di me – è osservazione ed elaborazione, niente di più, niente di meno. L’ispirazione è una gran cazzata, non esiste, e chi ne parla come se si trattasse di un’illuminazione divina che scende dal Cielo per investirlo come eletto, sta scioccamente galleggiando nella sua presunzione. Non esistono eletti, esistono scrittori bravi e scrittori non bravi, libri belli e libri brutti. Il resto è aria fritta.

Veniamo al tuo esordio nel 2014: come, dove e con quale impatto?
Liguria, un lungo inverno dal 2013 tra le gole ventose, sotto il Monte Beigua. Decido di riprovare seriamente a narrare sulla lunga distanza, mi preparo leggendo alcune cose e soprattutto psicologicamente, stabilendo un metodo di lavoro. Nascono due romanzi. Il primo che pubblico è “Il migliore”, romanzo breve con spunti interessanti ma mal realizzato, che autopubblico nel 2014. In realtà il mio primissimo titolo fu “Angeli e folli”, ma decisi di gettare per primo nella mischia quell’altro per farmi le ossa e non bruciarmi l’opera a cui tenevo di più. Beh, devo dire che fu un’esperienza strana e che mi aprì un mondo. L’impatto vero fu quando imparai a usare i Social, grazie ai quali mi conobbero più persone, mi lessero in tanti che non conoscevo (dunque non solo amici e parenti) e, non ci crederai, per due o tre anni ho dovuto respingere delle stalker sessuali... roba da matti!

"Angeli e folli", noir molto particolare
“Angeli e folli”: com’è nato e che cosa ha rappresentato nel tuo percorso di scrittura?
L’ho chiamato ‘romanzo di strada’, perché è ciò che racconta. Con quel romanzo ho deciso con quale tipo di scrittura avrei voluto esprimermi per quel tipo di storia e l’ho portata avanti, spero in modo più evoluto, sia nel romanzo successivo che nel terzo di questa serie, che sto terminando in questi giorni. È nato dal bisogno di far gridare al mondo che c’è una realtà che non è solo bianca o nera, ma molto più spesso grigia, e che il confine tra le persone ‘perbene’ e i ‘disgraziati’ è davvero labile, più di quanto si pensi. Nessuno è esente dal male della vita: c’è sempre tempo anche per rimediare. Però, in buona sostanza, diciamo che parlava soltanto di umanità, intesa come sentimento e attitudine mentale, emotiva e di coscienza. Autoprodussi inizialmente anche "Angeli e folli" e vinsi inaspettatamente uno dei premi speciali più importanti, il ‘Premio Internazionale Città di Cattolica’ del 2015. Da lì, tutto cambiò e lo ristamparono ben altri due editori. La prossima sarà la terza.

Quali sono le peculiarità di questo romanzo?
Intanto la narrazione. Alterno capitoli in terza persona con capitoli in prima, e questo – mi hanno fatto notare –  non è un uso frequente e, a quanto pare, funziona. Poi la storia: in sé non è eclatante, ma pare che colpisca per la vicinanza che i lettori avvertono con alcuni episodi che, evidentemente, sentono in qualche maniera come parte del loro vissuto. Per quanto concerne la scrittura, è stata definita una scrittura ‘in controtempo’ per la struttura dei periodi e altri dettagli tecnici con cui non voglio annoiarvi. Tutti questi fattori l’hanno reso un romanzo ‘fresco’, atipico e originale pur con le ingenuità di un esordio, che pure sono passate in secondo piano all’esame del lettore. Ho ricevuto anche complimenti privati da personaggi noti, e alcuni di loro mi hanno incoraggiato, per primi e più di tutti, a proseguire.

E di “Nella pancia del mostro”, cosa ci dici? È in rapporto di continuità con “Angeli e folli”? 
Ne è il seguito naturale, ma indipendente e autoconclusivo come il precedente. Stessi personaggi, più o meno, ma altra dolorosa vicenda. Fanno parte di una trilogia del disagio – che detto così sembra una palla pazzesca, ma grazie al Cielo non lo è – che non vedo l’ora di portare a termine, perché davvero ho voglia di scrivere altro, se proprio non potrò farne a meno. E se ne avrò voglia, soprattutto. Mi preme ricordare un fatto importante: i due romanzi di cui parliamo sono stati la mossa da cui ha preso vita un’iniziativa sociale che ho portato in tournée nazionale, al fianco di Associazione Antigone, per raccontare alle famiglie i pericoli, per chi ha amici o parenti disagiati, del legame a filo doppio di psichiatria e giustizia.

Nel tempo, come si è evoluta la tua scrittura?
Io non so se si sia evoluta. Avrei dovuto studiare più di quanto abbia fatto, perciò non mi esprimo. Dovresti chiederlo a chi mi ha letto.

Nella pancia del mostro
Tocchiamo alcuni argomenti “hot”: come ti sei posto, come ti poni con l’editoria?
Mi viene da ridere un’altra volta! Lasciamelo dire, io mi sento tuttora un ‘parvenu’ in questo mondo, nonostante tutto quello che ho fatto. Ho iniziato nel blogging con “Leggere a Colori”, tenevo una rubrica di interviste chiamata ‘sotto esame’, in cui ponevo domande anche scomode agli addetti ai lavori. All’inizio era un divertimento, ma ho capito subito che dovevo imparare a pormi con una certa professionalità che, diciamocelo, nel mondo dei libri ha delle caratteristiche tutte sue. Dopo anni in cui ho cercato, e cerco tuttora di imparare, e dopo collaborazioni con blog, personaggi e situazioni importanti, intanto posso affermare con certezza due verità: la prima, è che quelli davvero bravi – che siano artisti o professionisti editoriali – sono i più umili. Chi se la tira, in realtà è perché ha ben pochi argomenti. Il secondo postulato è più un consiglio per i lettori, e a voi mi rivolgo mentre state leggendo: mai – e sottolineo – MAI conoscere gli autori che vi piacciono. Potrebbe passarvi la voglia di leggere, e a me è successo. Non chiedetemi nient’altro, fidatevi sulla parola. 

Pecche, punti di forza, criticità, difficoltà del mondo editoriale&CO?
Dividiamo innanzitutto i libri e la scrittura in sé dalla struttura editoriale che gravita intorno – quindi editori, editor, stampa, rapporti, etc.
LIBRI E SCRITTURA: quello che non mi piace è la tendenza all'imitazione che porta ad appiattire le storie su filoni già battuti da altri. Prendiamo il filone giallo/thriller/noir, ad esempio. Intanto, in Italia la figura del serial killer è rara e poco verosimile, eppure è un florilegio di psicopatici che hanno avuto traumi infantili… sai che novità! Poi le figure dei ‘buoni’: o sono finti scapestrati, dei disadattati patinati che nulla hanno di originale, oppure sono i 'soliti' commissari ombrosi e disillusi, con matrimoni falliti alle spalle et similia, che uno si chiede: ma perché non si suicidano mai questi tizi? Sai che palle! Certo, chi ha inventato personaggi simili 25 anni fa – vedi Varesi – ne ha tutto il diritto perché ne ha la paternità, ha il brevetto dell’originale, ma le altre sono quasi sempre pessime imitazioni. Inoltre la scrittura è spesso molto piatta. Se poi devo dirla tutta, molti nomi noti sono decisamente sopravvalutati, e penso a Carrisi per esempio, senza nulla di personale, ci mancherebbe. Punti di forza? Non ne ho idea, ma personalmente ho scovato dei perfetti sconosciuti con del talento cristallino. E qui andiamo a parlare del mercato editoriale.

EDITORIA: troppi titoli e pochi soldi. Ci vorrebbe un articolo intero a spiegare il meccanismo che obbliga tanti piccoli editori a ricorrere all'indebitamento con le banche e a non pagare, o pagare poco e tardi, gli autori. La questione più scandalosa è il monopolio della distribuzione che si mangia più del 60 per cento del denaro che gira, ma non è tanto questo il problema, quanto che le major dettano tempi e modi del mercato e delle uscite di tutti gli altri. È una dinamica schifosa che nulla ha a che fare con la cultura.


STAMPA (Mass Media): sulla stampa, che in genere scrive di libri raccomandati dalle grandi CE e spesso previo pagamento, anche se non esplicitamente dichiarato, mi piace raccontarti il mio vissuto con un aneddoto. Due anni fa rappresentai come ufficio stampa un grosso evento bolognese con artisti di fama internazionale, e inviai alla sezione cultura di un noto quotidiano il comunicato stampa. L’allora responsabile del settore sbagliò – non so se proditoriamente o meno – a scrivere la ‘breve’ facendo passare l’evento come ciò che non era. Quando le scrissi per farglielo notare, mi rispose in modo arrogante, e mi presi la libertà di ribattere con ugual tono. Nella fattispecie, le suggerii di non tenere atteggiamenti boriosi con me, che tanto lo sapevo benissimo che non le dava fastidio riservare articoli a chi la invitava a cena o cose simili. Voleva querelarmi, ho saputo, ma un suo collega e amico mio glielo impedì e, devo dirlo, mi dispiacque perché già pregustavo quello che sarebbe accaduto. Quello che voglio dire è questo: ci sono un po’ troppi pennivendoli che si ergono a protagonisti più degli artisti stessi, quasi che le star fossero loro, e a me ciò dà molto fastidio. La colpa però è anche di chi – scusate la franchezza – “venderebbe la madre” – parlo degli scrittori 
 per avere due righe col suo nome su un foglio di carta.

LIBRERIE: a proposito di protagonismo, non mancano le libraie – sì, libraie, perché di librai maschi così non ne ho trovati ancora – che "sfilano in passerella" in egual modo delle giornaliste come quella di cui sopra. A sentir parlare loro, sembra quasi che gli scrittori siano tutti dei pezzenti o incompetenti, salvo poi genuflettersi appena vedono arrivare quello che sta vendendo, anche se il libro è brutto o, addirittura, ha le pagine bianche. Tra l’altro, mi spiace dirlo, ma anche il mestiere del libraio è al capolinea. Ogni professione deve adattarsi ai tempi, e le librerie fisiche oggigiorno sono anacronistiche. O reinventeranno questo bel mestiere affinché possa stare al passo con i tempi, o chiuderanno tutte. Aggiungo un’altra spiacevole considerazione: a me non piange affatto il cuore se stanno sparendo le librerie indipendenti. Certo, era bello frequentarle, ma rimpiangerle è un mero atto di nostalgia e la nostalgia non serve a molto. Il mercato è diverso in tutto, adesso, non vedo perché non debba essere così anche per loro. Ce ne faremo una ragione e troveremo un’altra via.


Quali le criticità ma anche gli aspetti positivi di uno scrittore esordiente?
Tra le criticità, senz'altro l’inesperienza sia nella scrittura che nell’approccio al mondo editoriale. È vero che la diffidenza per nomi nuovi, soprattutto se autoprodotti o editati da una piccola casa editrice, è a mio avviso un atteggiamento di insensato snobismo da parte dei lettori e della stampa o dei blog, ma è comprensibile che, prima di spendere denaro per un libro, si tenda ad affidarsi a nomi più conosciuti. C’è davvero troppo materiale in giro, cinquemila titoli al mese su per giù, fatti i tuoi conti, una cernita è normale. Teniamo poi conto di altri due fattori: uno è il primo impatto con pubblico e critica, che pochi reggono adeguatamente, e la propensione a credere di aver scritto qualcosa di assolutamente originale o 'nuovo' rispetto a tutti, specialmente se autobiografico, senza che l’esordiente si chieda per quale motivo al lettore dovrebbe interessare la storia della sua vita. Se poi è incorso nell’errore di voler imitare qualcuno, come dicevo sopra, è fregato in partenza. Ah dimenticavo: se autoprodotto, un autore deve scontrarsi con l’errata convinzione che chi scelga il self sia per forza uno sfigato o pubblichi a pagamento, e questa sarà una questione che potrà risolvere solo il tempo, forse.

Dario durante una presentazione
Secondo te siamo troppo “esterofili”?
Cosa vuol dire ‘troppo’? Se uno preferisce Roth a Magris o Baricco non ci vedo niente di male, rientra nei gusti di ciascuno. Io per esempio detesto i film e la musica italiani, salvo eccezioni rarissime, ma non per principio, bensì perché non mi piace la loro forma espressiva, tutto qua. Esterofilo? Boh, può darsi, e probabilmente tra generi diversi cambia la statistica. Ti posso però assicurare che quando incontro un autore italiano che scrive bene me lo godo volentieri, anzi di più.

E secondo te tra scrittori/scrittrici sussiste una guerra tra poveri”?  
Ma tu vuoi proprio farmi morire dalle risate, vero? Sai benissimo che è così. Tra l’altro, io capisco quando tra noi commerciali c’era rivalità, ma perché c’erano di mezzo tanti soldi ed eravamo dichiaratamente degli squali, anzi era una qualità necessaria. Nel mare magnum autoriale invece si creano migliaia di screzi e rivalità sottotraccia per due foto in più su Facebook o per quattro copie vendute più dal conoscente che sta sulle balle, sempre che le vendano. Mi ricordo agli esordi, quando conobbi una scrittrice bolognese che mi raccontava di quando andava nelle librerie della città per vedere se e come fossero esposti i suoi titoli, e si accorse che spesso dopo qualche giorno finivano relegati dietro altri libri, guarda caso sempre della stessa autrice. Scoprì che c’era una sua ‘amica’ – una di quelle tutte baci, abbracci e complimenti – che in realtà passava regolarmente nei negozi per spostare i propri libri davanti ai suoi, per nasconderli e ‘rubarle’ la visibilità. Ora, raccontato questo aneddoto, mi rifaresti ancora questa domanda o preferisci ridere anche tu?In conclusione, io da lettore non sono minimamente interessato alle diatribe tra autori/autrici, anzi, mi infastidiscono perché immaginerei che chi scrive debba avere anche una certa responsabilità culturale, quantomeno come esempio di comportamento.

Che cosa apprezzi del panorama autoriale contemporaneo? Cosa non apprezzi invece? Ci sono autori/autrici che ami e per quale ragione?
Di fondo, un autore piace se si sente una sua ‘voce’ peculiare quando racconta, e la padronanza del linguaggio ovviamente aiuta molto. Nomi? Valerio Varesi, Massimiliano Santarossa, Davide Pappalardo e Alessandro Bastasi per la profondità e per la bellezza della loro scrittura; Francesca Bertuzzi e Roberto Carboni per l’esplosione emotiva delle loro storie; poi diversi altri, ma voglio che ti segni un nome: Angela Langone. Dopo due libri su tematiche più manualistiche o ironiche che puramente narrative, spero di potermela godere presto in opere ‘importanti’ perché ha doti letterarie che ho incontrato di rado. Avrei sicuramente altri nomi da fare, ma non voglio che questo intervento diventi una lista della spesa.

Torniamo a te: progetti per il futuro?
Potrei dirti che vorrò tornare a pubblicare entro l‘anno, ma in questo momento storico e di emergenza non vedo oltre le prossime settimane in cui mi sono messo a disposizione per dare una mano alla Protezione Civile. Non aggiungo altro perché è un sentire personale e voglio che rimanga tale. Se rimaniamo vivi, richiedimelo tra un po’. Comunque sì, vorrei pubblicare il romanzo nuovo e ristampare i due precedenti che hai citato.

Se vuoi aggiungere altro… 
Sì. La cultura,  la lettura in genere è una cosa seria ma non seriosa. Divertitevi gente, e prendiamoci meno sul serio.

Dario Villasanta: un po' di biografia
Classe 1972, monzese di origine, dopo il diploma di ragioniere programmatore, intraprende gli studi di Filosofia alla Statale di Milano, che interrompe successivamente. La sua carriera professionale è densa di esperienze con particolare riferimento agli ambiti della vendita e delle pubbliche relazioni.
Scrive sin da quando era bambino ma per molti anni preferisce fare musica, come cantante e compositore di canzoni rock-metal, suonando ovunque capiti.
Le esperienze da animatore nei villaggi turistici lo avvicinano alla recitazione di cui impara i rudimenti. Nei primi anni Novanta partecipa a una tournée nel nord Italia, recitando nelle chiese le poesie di David Maria Turoldo, poi commentate da orchestra classica e canto lirico.
Ha all'attivo collaborazioni con diversi siti culturali e come ‘Ufficio Stampa Non Convenzionale’ per un gruppo di scrittori che hanno aderito a un suo personale progetto collettivo.
Tra le sue pubblicazioni: "Angeli e folli" e "Nella pancia del mostro".

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