Una donna trovata in stato confusionale sulla Statale 12. Un'altra donna che la intercetta. Un giornalista alle prese con un nuovo caso di cronaca. Le scoperte sulla donna, un passato che emerge prepotente. E qui, nessun ispettore, solo un giornalista a caccia di notizie.
La sconosciuta rovescia il capo sulla testiera del sedile, ansimando. Maddalena abbassa tutti i finestrini.
– Respira lentamente.
La donna si precipita con uno scatto fuori dalla Panda e vomita nel fosso. Maddalena la segue e la sorregge per le spalle. Sente la pelle fredda, il corpo scosso dalle contrazioni dello sforzo. Non sa come comportarsi. Vorrebbe farle delle domande ma forse non è il momento. Negli occhi che la fissano vede troppa confusione e il bisogno di conforto.
– Torniamo in auto?
La domanda riceve un sì bisbigliato. Insieme, tornano nell’abitacolo dove la donna scoppia a piangere, borbottando parole senza senso.
Maddalena sente il suo dolore: è come se le entrasse dentro, una serie di spilli che pungono il cuore e l’anima. Ha l’impressione che la sofferenza nasca da situazioni viscerali. Non è una storia d’amore andata male. C’è un malessere che pervade il corpo sconvolto. Come una violenza subita in un rapporto di collaborazione continuativo con una vita crudele.
«Vuoi raccontarmi che cosa è successo?».
Diciotto ore di lavoro per ventidue giorni esatti di permanenza. Nessuna visita turistica, a parte il paesaggio intravisto nelle ore in cui raggiungeva l’azienda o l’hotel dov’era alloggiato. Vita sacrificata alla causa della nuova macchina che non voleva saperne di funzionare. E finalmente, dopo duecento ore di applicazione, dieci collaudi e tentativi naufragati nel mare della cibernetica, l’ingegnere Magnini è tornato al suo nido.
Ad accoglierlo, la solita scena vuota della sua villetta, nuda di amore e altri demoni. A quella scena era ormai abituato.
Dopo aver parcheggiato l’auto nel garage, Alberto scarica la valigia, che abbandona nella lavanderia. Segue la corsa in bagno, sotto la doccia, per poi concludere la serata con un piatto di spaghetti annegati nel pomodoro piccante spolverato di grana. Non ha voglia di pensare agli operai ottusi che ha conosciuto, a parte Mustafa e Aicha, i giovani ingegneri cui ha insegnato il mestiere di responsabile tecnico. Due ragazzi in gamba, svegli, come pochi. Poi… Aicha… i suoi occhi marroni con screziature dorate, le sue labbra rotonde. Se non fosse stato per la timidezza che scorgeva nel suo sguardo, ma soprattutto per il ruolo che ricopriva, si sarebbe fatto avanti.
Alberto accende la tivù, ma la spegne subito. Non ha voglia di ascoltare notizie sul Bunga Bunga e sul caos Italia. Per suo conto, è un paese morto. E poi, ora ha solo voglia di liberare la mente.
Si alza da tavola con un sospiro. Non lava nemmeno le stoviglie, né disfa le valigie: alle 21 esatte, l’ingegnere s’infila a letto. Sta per addormentarsi, quando improvvisamente il cellulare squilla.
– E adesso chi è?
Gli occhi velati dalla stanchezza si aprono sul nome odiato, visualizzato sul display.
Domenica 18 settembre, ore 21
Si chiama amore ogni superiorità, ogni capacità di comprensione, ogni capacità di sorridere nell’amore.
Di nuovo chiede la mia bocca lieta di essere benedetta dal tuo bacio. Felice è chi sa amare.
Cazzate! Sono solo una marea di cazzate. Amore altro non è che aprire le gambe all’uomo che s’inventa di amarti.
Eppure quelle cazzate riaffiorano di nuovo sulle sue labbra, arse dalla sete. La donna cerca a tentoni il bicchiere. Non ha voglia di accendere la luce, né di chiamare l’infermiera che le ha raccontato di essere una single, che non gliene frega niente dell’amore, perché vuole cogliere l’attimo.
La mano urta qualcosa. Si sente un tonfo: vetro rotto. La porta si apre ed entra l’infermiere con la fede al dito e l’espressione di fedifrago patentato congelata in faccia.
– Serena, che succede?
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