Leggi l'intervista-recensione.
(Nella foto: Simone Giusti)
Raines è un mercenario spavaldo e sbruffone che si fa beffe delle credenze e del destino. Braccato dalle legioni papali e da mille entità oscure, vaga assieme a Grugno l’archibugiere, Cuoio lo spadaccino e Bombarda il pirata, in una perenne ricerca di ricchezze e avventure. Unisciti a lui e affronta magia e tenebre, pericoli e mistero. Vivi la nuova saga "Sword&Sorcery" in perfetto stile anni ’80. Addentrati nei suoi primi tre episodi tra fanciulle da capogiro, tesori sconfinati e oscuri stregoni bramosi di vendetta e potere. Con "Raines Quest" puoi riassaporare il gusto di fantastiche storie cappa&spada&magia illustrate old school. Goditi i primi tre episodi de "I Signori delle Ombre".
Illustrato da Matteo Macchi.
La recensione
Leggere "Raines Quest - I Signori delle Ombre" è come fare un salto indietro nel tempo. Per chi, come me, ha vissuto l'infanzia negli anni Ottanta, è stato il recupero di un repertorio di archetipi, temi e figure che hanno popolato il mio immaginario. Ma, a parte la componente nostalgica, negli episodi che compongono il libro di Simone Giusti, ho assaporato il gusto dell'evasione, complice una scrittura sapiente che mi ha fatto affezionare al protagonista e alle sue vicende.
Dicevo, un repertorio rodato che non replica in maniera sterile proposte di successo, ma trova una sua dimensione personale. Raines e soci affrontano rocambolesche avventure, piombando al centro di intrighi in cui sono direttamente coinvolti. Il tutto calato in un contesto storico che viene riproposto in maniera coerente. Così troviamo donne che rappresentano il ruolo in cui le società del tempo le relegavano; non mancano donne seducenti che conquisteranno il nostro Raines, di cui spicca il lato "donnaiolo", sempre condito da una leggerezza di fondo, con cui chi legge empatizza.
La leggerezza è un aspetto importante, nella scrittura di Simone Giusti. Gli episodi sono brevi, ma non per questo meno incisivi; anzi proprio la brevità è una caratteristiche che, unita al dispiegarsi delle azioni mostrate, con dialoghi sagaci e scenari ben delineati, rappresenta anche un punto di forza nella fruizione del libro. Senza dimenticare che, dietro alla concisione, troviamo un forte lavoro sulla scrittura che si avverte in maniera lampante, in particolare se si sa qualcosa di Storytelling e arte della narrazione.
"I Signori delle Ombre" presenta molte citazioni più o meno dirette, che impreziosiscono le trame degli episodi. L'episodicità richiama gli sceneggiati avventurosi degli anni Settanta, che hanno portato opere di Salgari sullo schermo, accendendo la fantasia di grandi e piccini. Il gusto picaresco - e Raines è un picaro, fondamentalmente - ci riporta al passato, senza farci dimenticare dell'oggi, complice proprio la scrittura dinamica dell'autore. Un libro piacevolissimo da leggere, con trame ben congegnate e personaggi che sono mascalzoni al punto giusto.
L'intervista a Simone Giusti
Benvenuto su La penna sognante! Il tuo è un background notevole, tra archeologia e scrittura a 360°… ci racconti qualcosa del tuo percorso, tra formazione, lavoro e passioni (e anche cose che non ti piacciono)?
Durante gli anni di ragioneria imparai a considerarmi un mediocre che aveva tanta volontà ma nessuna dote in particolare. Faticavo in tutto, soprattutto in matematica.
Finite le superiori avevo tre possibilità: andare a lavorare come ragioniere; iscrivermi a economia e commercio; o iscrivermi a informatica, visto che avevo studiato ragioneria con indirizzo programmatori. Lì feci la prima scelta di rottura (per fortuna!) scegliendo di iscrivermi ad archeologia.
Non so se volessi fare l’archeologo, so solo che volevo studiare quella materia. La cosa fantastica è che di colpo mi trasformai da mediocre in dotato di talento. Prendere 30 era una passeggiata, la lode non era un problema e studiare robe che altri reputavano insormontabili era un divertimento senza alcuna difficoltà.
Perché ho raccontato questo? Semplice. Perché nella vita si possono fare due tipi di scelte: quelle dettate dalla ragione (ciò che pare più conveniente), o quelle dettate dal cuore (quelle che sento di voler fare davvero). La famosa ragione e sentimento, tanto per intenderci. Se stai leggendo quest’intervista e sei nel dubbio tra ciò che sarebbe più giusto fare e ciò che senti di voler fare, ebbene, sappi che tu sai dove vuoi andare e la tua bussola è la passione che è sempre stata in te.
Seguila e ti porterà dove non avresti mai osato immaginare.
Rifiutala e… No, non lo fare. Il male ha già molti servitori.
Hai all’attivo molti racconti: ce n’è uno o ce ne sono alcuni cui sei particolarmente legato? Di cosa parlano e cosa rappresentano nel tuo scrivere?
“Felicità sintetica” è il primo racconto pubblicato. Era il dicembre 2006, a Milano nevicava. Mi ritrovai con mia madre in una libreria Mondadori del centro a presentare questo racconto scelto per far parte della mia prima antologia. Erano storie ispirate al cinema, il mio racconto era ispirato a "1997: Fuga da New York". Be’, non è che fosse proprio uguale, anzi, a dire il vero l’unica cosa in comune era l’idea di protagonista, un personaggio antieroe un po’ asociale, cinico e distaccato che mi porto dietro da sempre e che ha dato origine anche a Raines di "Raines Quest".
Ebbene, quel racconto era ambientato in un futuro distopico che avevo iniziato a creare l’anno precedente, nel 2005, e raccontava un episodio di vita di un soldato della marina d’assalto dell’esercito di Europoli di stanza nel Pacifico.
Nello specifico narrava in prima persona, con un linguaggio spietato e cinico, sempre superficiale, del suo incontro con un tecnico mezzo cyborg che, di fronte a una bevuta in un pub, gli raccontava della sua relazione segreta nel cyberspazio con una mega star internazionale.
Le tematiche del racconto erano la ricerca effimera della felicità in continue implementazioni materiali, ricchezza, potere, sesso, fino ad arrivare a innesti per godere della “scarica della gioia”: una corsa che non appagava mai. E finiva con la scoperta di ciò che la società del Ventiduesimo secolo (eravamo nel 2134) aveva dimenticato proiettandosi fuori da sé: l’amore. Non l’amore per qualcuno, l’amore per sé. Solo così si imparava a vivere e non si era più costretti a inseguire surrogati di gioia nel supermarket della falsa felicità.
Ovviamente il nostro antieroe non capiva la lezione e il giorno dopo aveva già dimenticato ogni cosa.
Non solo narrativa, ma anche teatro e cinema… con quali opere e proposte?
Nell’estata del 2012 scrissi un cortometraggio divertentissimo, ma non sapevo come girarlo. Cercai un regista e dei collaboratori, ma tutto era complesso. Così ripresi in pugno la situazione, seguii un corso di montaggio e poi uno di regia, e nella primavera del 2013 girammo “Evoc”, il primo capitolo di una saga che è rimasta ferma a tre episodi ma che presto uscirà in versione letteraria totalmente completa. E poi anche come film (non so ancora come, ma accadrà).
Da allora sono nate diverse produzioni e diverse collaborazioni. Tante per lavoro, perché poi il fare video è divenuto fare spot e il fare spot è divenuta una professione.
Stessa cosa per il teatro. Non andavo a teatro (sono cresciuto col cinema e il cinema rimane la passione numero 1), ma poi mi son ritrovato a frequentare ambienti di teatro e sono finito a scrivere anche per i palcoscenici. Ricordo con amore l’ultima opera, un monologo che è stato portato in scena diverse volte, ha anche vinto un premio, e devo ringraziare le ragazze che mi hanno proposto di scrivere sul tema di cui trattava e tutta la fantastica banda di attrici e ballerine e regista che lo hanno costruito e messo in scena. Sto parlando di “Vodkavalium”, la storia di una ragazza che “si sdoppia” nella lotta contro le credenze della società.
Sei anche docente di Storytelling: hai una tua filosofia o un tuo metodo in particolare? E che cosa conta pe te nell’arte della narrazione? Cosa invece va evitato?
C’è un ritornello di Nek che racconta benissimo cos’è per me lo storytelling e la filosofia che applico alla narrazione e alla vita: “Lascia che io sia il tuo brivido più grande”. Il corso non è altro che un viaggio all’interno dei meccanismi neurali della scrittura che alla fine ha un unico scopo: farti accettare l’idea di lasciarti andare al flusso che scorre già potente e maestoso in te. Tu qui sei il tuo talento: ricordatelo.
Riguardo alla seconda domanda, ti rispondo subito: il cuore. Non scrivere ciò che pensi che potrà piacere. Non scrivere ciò che sembra che avrà un mercato. Non scrivere per essere accettato, per piacere, per essere acclamato, per guadagnare. Scrivi ciò che ti dà energia. Basta. Il resto verrà da sé. E sarà per niente faticoso. Perché il premio lo hai già ottenuto in ogni istante che hai consumato scrivendo ciò che piace a te nel modo che senti come tuo.
Cosa va evitato? Trasformare la scrittura in uno strumento di approvazione sociale. Finché scriverai per essere pubblicato, per essere venduto, per essere acclamato e tutte le altre forme passive di esistenza delegate al giudizio altrui, finirai per rimpolpare il già nutritissimo gruppo di scrittori frustrati e arrabbiati col mondo convinti di avere talento ma di non essere apprezzati dalla comunità. Ma tu scrivi per la gioia che ricevi e che dai con le tue storie o per farti dire: bravo?
Arrivo a “Raines Quest”: come e quando nasce l’idea?
L’idea è vecchia. Raines coi suoi compagni d’avventure nasce infatti nel 2011, ben dieci anni fa! Nasce come divagazione scanzonata e divertente dal mega romanzo storico super accurato che avevo scritto nei precedenti nove mesi (tra l’altro uscirà ad aprile diviso in quattro volumi. Il titolo è “La Carne e l’Amore").
Con "Raines" volevo un personaggio spaccone, irriverente e superficiale, ma determinato, per niente frustrato, e soprattutto pronto a sogghignare di fronte a qualunque difficoltà. In pratica un Jack Burton o un Ash Williams del 1500.
Così scrissi il primo romanzo e poi subito un seguito per circa 500 pagine di storie. Iniziai ad appuntare molte informazioni per la terza storia della saga (quella ambientata a Malta che cito all’inizio di Raines Quest), ma allo stesso tempo sentii che Raines non aveva ancora una dimensione sua al cento per cento. Mi serviva una sua mitologia, non volevo legarmi al folclore cristiano/cattolico o ad altre cose già esistenti sul modello Lovecraft o giù di lì. Così Raines andò in tribuna ad assistere alle altre storie che intanto scrivevo, finché un giorno Italian Sword&Sorcery mi chiese di scrivere storie per il suo sito, e lì Raines si risvegliò. Sì, perché ormai la mitologia c’era, la mentalità pure ed eravamo pronti per partire.
Adesso quei romanzi scritti dieci anni fa fanno parte del background di Raines, ma è probabile che un domani usciranno come prequel della saga che sto scrivendo ora.
Chi è Raines e chi sono i personaggi che lo supportano nelle sue avventure?
Raines è un mercenario doppiosoldo (vale a dire pagato il doppio) che lavora soprattutto per gli imperiali. Il suo nome è Rainero, Raines è il nomignolo che gli affibbiarono gli spagnoli quando era un giovincello e da allora è così che si fa chiamare. È un tipo deciso, che se ne frega, non teme il giudizio, non sa neanche cosa sia, e si comporta sempre e comunque come gli va. Ha però una debolezza: l’oro. E così va sempre a finire che si trova a lottare contro stregoni o contro mostri disumani con la promessa di racimolare quel fantomatico gruzzolo che gli permetterà di vivere il resto dell’esistenza tra gozzoviglie e belle figliole. Promesse, sempre promesse…
In quanto ai compagni, due sono quelli storici. Cuoio lo spadaccino è un infallibile maestro di spada, combatte con due toledo con cui affetta tonnellate di nemici. Parla poco e prega Dio. Grugno è un archibugiere gretto e tarchiato, con un morione in testa e con la simpatia tipica della spalla del protagonista. È fedelissimo di Raines, ma non è un leccapiedi.
E infine c’è Bombarda. Ebbene, lui è un ex pirata uscocco, in pratica uno della resistenza anti-turca. Ha una gamba archibugio, lunghi baffoni biondi che svolazzano al vento e combatte con una spingarda con la quale maciulla innumerevoli avversari.
E poi ci sono le belle fanciulle, una per ogni avventura. Accade un po’ quello che succede nei film di James Bond o di Indiana Jones.
Durante la lettura, mi si è spalancato un mondo di riferimenti letterari e cinematografici, di cui cito solo alcuni, senza voler banalizzare: da Salgari a Indiana Jones, passando per – mi riferisco a un particolare momento che non voglio anticipate – “L’armata delle tenebre” a “La mummia”. Di fatto, quali sono i riferimenti e in generale le tue ispirazioni?
Ne hai centrati due proprio in pieno, tipo colpiti e affondati. Ma anche gli altri ci stanno tutti. Il primo che hai centrato è “L’Armata delle Tenebre”. Raines è fortemente ispirato al personaggio di Ash Williams, soprattutto la versione del terzo film della saga Evil Dead. Rude, sciupafemmine, spaccone, egoista, scontroso e arrabbiato.
Come Indiana Jones, anche Raines inizia le sue avventure in azione, spesso con scene conclusive di imprese precedenti, e poi come Indy anche lui esplora miti e leggende, e soprattutto compie imprese mirabolanti senza mai farsi male!
Salgari e “La mummia” ci stanno tutti, bravissimo, il primo anche per le illustrazioni che il grande Matteo Macchi ha aggiunto per dare corpo e una dimensione più specifica alle storie. Come personaggi aggiungiamo anche Madmartigan, grandissimo personaggio del film “Willow”, il già citato Jack Burton di “Grosso guaio a Chinatown” e anche Panamon Creel de “La spada di Shannara”. Ma potremo andare avanti con Han Solo di “Guerre Stellari” con le sue meravigliose facce da schiaffi, Duke Nukem del famoso videogame con le fantastiche battute da duro tipo “Let’s rock!” e “I’m gonna kick your ass!”, e tutti gli altri super spacconi del cinema e della letteratura e di ogni altra forma ludico-narrativa degli anni Settanta e Ottanta.
Immagino che il tuo essere archeologo sia la spinta per lavorare al meglio sul contesto storico-geografico… e in effetti in “Raines” lo vediamo…
Sì. Adoro ricreare realtà veritiere. Sebbene Raines Quest sia un fantasy, l’elemento fantastico è relegato alla magia (esiste davvero! Anche se la maggior parte della gente la reputa, come noi, paura e superstizione) ma il resto è pura ambientazione storica.
E a dire il vero l’ambientazione storica non solo ha un suo fascino clamoroso ma ha anche dei vantaggi inauditi come personaggi reali e situazioni accadute davvero dentro cui far muovere i tuoi personaggi. Inoltre, altro grandissimo punto a favore, quando approfondisci in modo maniacale la storia (perché ti piace a dismisura), dopo ti puoi permettere “libertà” fantasy senza però rischiare di ricalcare il solito immaginario fantasy usato da tutti. Puoi innovare semplicemente restando aderente alla verità storica del periodo che ti piace di più.
Rispetto alla Saga Swords&Sworcery 500, come si pone questo tuo lavoro? E questa saga ha una sua strutturazione?
“I signori delle ombre”, così si intitola il primo volume della saga di Raines Quest, racconta il momento in cui ho deciso di far decollare le avventure di Raines, vale a dire quando lui è già discretamente famoso, è già inguaiato col papato e conosce già tutto o quasi di stregoni e mostri. Insomma, queste robe non sono più una novità come lo sarebbero per gli altri comuni mortali.
Seguiranno storie, sempre tre per ogni volume, che saranno cronologicamente successive a queste, come vere e proprie stagioni di serie tv. La saga ha già due seguiti ideati e uno in scrittura. Non solo, ha già un paio di librigame in costruzione e un’ambientazione per gioco di ruolo anch’essa in scrittura.
Riguardo ai librigame, saranno sul modello del fantastico “Lupo Solitario”, vale a dire che tu creerai la scheda del tuo personalissimo Raines e lancerai i dadi per combattere, per parlare e per agire. Inoltre la storia avrà diverse uscite e diverse linee parallele. Ti sembrerà di giocare di ruolo, che poi è il bello dei librigame.
Riguardo ai prequel, è probabile che usciranno più in là, quando il mondo di Raines Quest sarà più strutturato. Racconteranno di quando Raines ha scoperto la dimensione del magico e di quando ha fatto arrabbiare il papato.
Non mancano riferimenti mitologici… ad esempio la pietra filosofale, ricorrente in tanta narrativa. Che cosa rappresenta in questo libro, questo mitico oggetto?
Ti rispondo con la prima riga della definizione di wikipedia: “La pietra filosofale è, per eccellenza, la sostanza catalizzatrice simbolo dell’alchimia, capace di risanare la corruzione della materia”.
Se tu sei oro, ciò che tocchi diviene oro.
A proposito di personaggi… buoni e cattivi… è proprio così?
Non ti voglio dare una risposta secca. Rispondo invece che tutto dipende dal punto di vista dal quale si guarda ogni cosa.
Qualunque trincea sceglierai, ci sarà sempre qualcuno pronoto a combattere contro di te pensando di essere nel giusto. E anche tu lo sarai, intendo convinto di aver ragione. È così che accadono le guerre, ed è così che accadono i regimi, ed è così che accade ogni credenza che soggioga l’intera umanità.
Quando discutiamo col vicino di casa, coi genitori, con l’amico o con l’amante, è perché ci identifichiamo con credenze e ideali scendendo nella trincea per difendere il micromondo illusorio che abbiamo costruito attorno a noi. Paura, nient’altro che paura: e questa non ci fa mai essere buoni.
Tornando alla narrativa, amo lo sword&sorcery proprio perché non si concentra sulla definizione del bene cosmico e del male galattico come fanno altri fantasy, ma ti racconta le avventure di un personaggio che per i propri motivi (spesso corrotti e di bassa levatura tipo vendette, sete di ricchezza o di fama, o altro ancora) affronta avventure e pericoli, spesso scontrandosi con altri uomini e altre donne, anch’essi corrotti da manie di grandezza o da insaziabili brame di ricchezza e potere.
Nelle saghe fantasy classiche, quelle del bene versus male, il male è sempre stato il male o è diventato così? E tu che lo combatti, perché lo fai?
Parlando di scrittura e di tecnica: come hai lavorato? In genere, che cosa ami fare, cosa, invece, preferisci evitare? Di certo il tuo narrato non manca di ritmo e di eventi che incalzano, portando il lettore ad attaccarsi alla pagina…
Anzitutto, grazie infinite per i complimenti.
Di base lavoro sull’idea che può arrivare in diversi modi: ispirazione mentre faccio passeggiate o altro; letture soprattutto storiche o di saggistica; giocate di ruolo in cui faccio il master, e giocando coi giocatori costruiamo ottimi spunti narrativi e addirittura trame iper complicate e cariche di colpi di scena. (Un romanzo a cui sono molto affezionato, “Guerre corporative”, è stato costruito così, e anche “Giù nell’abisso”, secondo capitolo di Raines Quest, lo sto costruendo così.)
Da quel momento fisso i punti della storia. Soprattutto le motivazioni che spingono i personaggi a infilarsi nell’avventura. Parto sempre da un “inizio in azione” come lo chiamo io (altra roba ereditata da Indiana Jones), da lì vedo quale urgenza spingerebbe i personaggi, soprattutto Raines, a partire per l’avventura, e poi inizio a scrivere. A quel punto arriva il finale che fisso subito (ma che potrebbe cambiare strada facendo), e divertendomi arrivano tutte le scene intermedie. A volte scrivo una scaletta trattata, vale a dire con indicazione delle azioni e dei dialoghi, che poi completo con una narrazione completa; a volte scrivo di getto seguendo i punti annotati prima.
Spesso butto via intere storie perché non hanno il mordente che volevo. A volte le riscrivo a partire da zero. A volte mi rendo conto che c’è bisogno di un personaggio differente, e allora le riscrivo cambiando una spadaccina in un mago, o aggiungendo una ladra. Tutto serve per mantenere altissimo il sistema dei conflitti. Conflitti tra protagonista e antagonista, conflitti tra membri del gruppo dei “buoni”, conflitti interiori al protagonista e via dicendo. Senza il conflitto la storia si banalizza.
Cosa fondamentale è aggiungere sempre scene degli antagonisti e dei comprimari in stile cinematografico per mantenere sempre altissima la capacità narrativa della storia senza perdere ritmo e adrenalina.
Insomma, le storie sono brevi, ma dietro c’è un gran lavoro… che però mi diverte da morire.
Stai già lavorando a un nuovo capitolo della saga? Ci puoi dire qualcosa in merito? Qualche anticipazione o curiosità?
Sì! Sto già lavorando al seguito. Anzi, a dirtela tutta sono in ritardo. Nei miei progetti doveva uscire tipo ora!
Nel primo volume abbiamo visto Raines alle prese con la situazione italiana del 1528, sia in mare che per terra. Nel secondo volume, che si intitolerà “Giù nell’abisso”, Raines e compagni finiranno in un luogo del tutto diverso.
Amanti del dungeon, ma anche appassionati delle ambientazioni davvero ultra fantastiche, preparate i polpastrelli per sfogliare le nuove pagine di Raines perché vi porterà alla scoperta di cose a dir poco grandiose.
Altri tuoi progetti futuri?
Sto lavorando a un progetto magnifico. Si chiama Quest Master ed è un motore di gioco di ruolo che unisce la giocabilità lancia-dadi della vecchia scuola alla narrazione e libertà di movimento attuale. Velocità, immediatezza, passione.
Tutto questo in un sistema adattabile a qualunque scenario, dal fantasy allo storico, dal fantascientifico al pulp, ma sempre in chiave eroica. Quindi si mostrano i muscoli, si fanno sogghigni, si va dritti al sodo.
La cosa bellissima è che il progetto è “open”, vale a dire che io lavorerò (lo sto facendo da anni ormai e testando col mio gruppo di giocatori) alle meccaniche, alla creazione del personaggio e ad alcune ambientazioni, ma poi saranno gli altri appassionati a creare le loro ambientazioni che diverranno ufficiali Quest Master. In pratica, giochi, ti appassioni, crei la tua ambientazione, la pubblichi secondo le linee guida Quest Master, e i guadagni sono tutti tuoi. È una tavola rotonda e nessuno è il re.
Quest Master avrà al suo interno anche l’espansione Arcade per giocare in solitario. E sarà diversa da tutto ciò che c’è in commercio.
Se vuoi aggiungere altro…
Ti ringrazio di cuore per le bellissime domande. Grazie, grazie grazie. E ringrazio l’ufficio stampa, Simona Mirabello, per tutto il lavoro, l’impegno e la passione che mette a disposizione di ogni autore. Mi reputo davvero fortunato. Grazie ancora.
L'autore: Simone Giusti
Archeologo, ha studiato narrazione, sceneggiatura e regia. Autore di decine di racconti e romanzi di genere, scrive e dirige videoclip, spot, serie web e cortometraggi. Tra i premi vinti, Shortbuster su iLIKE.tv e Narratopoli di Cento Autori.
I suoi romanzi sono Incubo, Guerre corporative, Il giardino di Boscofitto, Pisa connection, Ragnarok, Portland, Scacco matto al re bianco e Raines Quest della saga Sword&Sorcery'500.
Docente in narrazione col corso Storytelling, il metodo vincente e in cinema col corso Dalla A al Ciak si gira! , è ideatore del marchio Exlex con cui pubblica la serie irriverente di Jimbo.
Vive a Calcinaia con la compagna Denise e un gatto che un giorno ha deciso di vivere con loro.
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