domenica 28 marzo 2021

Tutta colpa del ciclo... quando il tabù si distrae e dimentica che: "Posso essere chiunque, questa è la mia libertà"

"Ho le mie cose."
"Sai, sono quei giorni."
"Ho l'endometriosi." (E qui, ancora tanti chiedono: che cos'è?).
Ci giriamo intorno, tanto, troppo spesso, abbiamo paura (meglio, schifo?) di dire quella parola, se non con il ginecologo e le amiche. Mestruazioni. Esattamente come affermava Eve Ensler per la parola "vagina": la indichiamo in mille modi diversi, come a volerla nascondere. E in effetti, il ciclo è uno dei temi trattati nei monologhi. E in "Come sedurre le donne" si scrive: "il corpo delle donne sembra essere fatto per essere nascosto".
Eppure, dite quello che volete, ma mestruazione è un termine chiave, il vero nucleo attorno al quale si sono sviluppate tutte le questioni muliebri e su cui il "patriarcato" (attiviste dell'ultimo minuto che poi, paradossalmente celebrano la festa del papà, dopo essersi scagliate contro il patriarcato, che in Occidente è nettamente mutato, oltretutto) ha giocato le sue carte, consapevole della potenza femminile legata a un aspetto: il poter dare la vita, quella maternità tanto discussa, dal concetto sacrale arrivando alla più prosaica realtà del mondo del lavoro e del Welfare connesso, a sostegno delle madri lavoratrici. 


Una parola che, ancora oggi, è un tabù. Quel sanguinamento che, in tempi antichi, rendeva le donne impure agli occhi della vulgata comune, sorpresa da quello "strano e tremendo fenomeno". Quel sanguinamento che porta dolori, una ciclicità che è la base dell'esser donna (non giriamoci tanto intorno, è una presa d'atto oggettiva, che non vuole escludere le possibilità di sentirsi parte di o sentirsi oltre il proprio corpo). Quel sanguinamento connesso alle funzioni fisiologiche della fertilità che ha contribuito nell'antichità alla suddivisione dei ruoli e, dunque, all'affermazione del patriarcato, di cui si invoca ancora il fantasma, laddove, in realtà, si è fortemente trasformato (a volte, anche, occultato). Quel sanguinamento che influisce profondamente sull'agire e sulla psiche femminile e che rende la donna quello che è. Un sanguinamento che è naturale, ma che ancora è oggetto di tabù. E mentre sembra ancora in corso lo sdoganamento della libertà sessuale femminile, a partire dalla masturbazione, ancora si gira intorno alla questione del ciclo, occultandolo. E il problema inizia quando nel femminismo attivista tale problema viene occultato, adducendo ai mali che impediscono l'emancipazione femminili, le questioni pur sacrosante del linguaggio. I problemi sono molto più profondi e ancestrali. E poco affrontati. 

Forse, è tutta colpa del sangue, ma si sa che quando si spezzano i tabù, qualcosa si muove. E dite quel che volete, ma mentre si creano problemi succedanei sulla libertà sessuale - si deve riflettere sul tema del femminicidio, in maniera imprescindibile, ma mi risulta che le donne occidentali scelgano liberamente i propri partner; il problema sta forse nell'espressione di tale libertà, limitata dalle critiche che le donne ascoltano troppo, vincolate a vecchi cavilli puritani - ci si dimentica che il mestruo e la fertilità sono le principali questioni che portano all'esclusione o alle limitazioni delle potenzialità delle donne sul mercato del lavoro. Del resto, faceva parte del vecchio retaggio culturale l'affermazione secondo la quale le donne sarebbero state meno portate per certi lavori, tradizionalmente maschili, a causa delle influenze del ciclo, no? Ma a parte questo, a oggi la libertà si traduce spesso in funamboliche avventure di creature multitasking che devono combattere per le proprie affermazioni professionali, sociali e umane. A volte creandoci problemi laddove ci sono soluzioni...  

Il mestruo è ancora un grande tabù al 2021: è un dato di fatto. Recenti spot televisivi di case produttrici di assorbenti, con bei messaggi inclusivi (che non depreco, anzi, unire le donne di ogni ascendenza è positivo!) e immagini esplicite, hanno fatto storcere il naso a molti. Ma in effetti è quello che accade: quel sangue fa parte di noi donne. "Quei giorni", dalla notte dei tempi, hanno portato al discrimine. Quel ciclo che influenza profondamente il nostro essere donne e che gli artifici, con tutto il rispetto e appellandomi all'oggettività delle conformazioni, non potranno mai ricalcare completamente; rovesciando la riflessione... a volte, lo si pensa con un pizzico di invidia, dati i dolori e i disagi muliebri del ciclo! E forse non è nemmeno un caso se una patologia come l'endometriosi è oggetto di attenzioni da pochi anni; l'abitudine a parlare poco del ciclo, porta anche a minimizzare i problemi connessi a esso. Questo a scapito di quella donna su dieci che, costretta dai dolori, spesso lancinanti, è costretta a rinunciare alle proprie aspirazioni. Pensiamo, però, anche alle disforie legate al ciclo: quante? Tante... E, su tutte, le donne che hanno scelto di essere madri o che potenzialmente potrebbero essere madri perché la natura ha posto loro questa possibilità che nei secoli è stato indicato dalla "cultura patriarcale" come requisito necessario alla definizione dell'essere donna. Definizione, per fortuna, sdoganata in tempi recenti - ma su cui persistono vecchi retaggi - grazie alla possibilità di scegliersi nelle miriadi di sfumature che comporta l'essere quello che si è e quello che si può essere.  

Ma la questione resta. Si dice ancora "In quei giorni" e si fa clamore se si parla di sessualità femminile, laddove il problema sta nel non dover rendere conto a nessuno di quello che si fa a letto. Tutto il resto è un rimescolare nel morboso, perché le donne possono scegliere come gestirsi sessualmente. Ma le mestruazioni... quelle no, ci sono. E sono il fulcro della questione. E se un fulcro che è naturale, è un tabù, va infranto. Solo infrangendo i tabù, si potranno affrontare i veri problemi, cercandone una soluzione fattiva. 

E come dice la mia "Alice nel labirinto": "Posso essere chiunque, questa è la mia libertà." Il rischio è, sulla spinta di una pessima informazione fatta di slogan e di argomenti trattati con superficialità, di uscire dalle gabbie del patriarcato per entrare in altre gabbie. Magari arrivando, paradossalmente, a tornare a servire quell'istituzione che tanto si contesta.    

 

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