Ecco la definzione da Treccani:
Poeṡìa s. f. [dal lat. pŏēsis, che è dal gr. ποίησις, der. di ποιέω «fare, produrre»]. – 1. a. L’arte (intesa come abilità e capacità) di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con un certo grado di approssimazione si può dire che il sign. di poesia è individuabile nell’uso corrente e tradizionale nella sua contrapposizione a prosa, in quanto i due termini implicano rispettivamente e principalmente la presenza o l’assenza di una restrizione metrica; sotto questo profilo vanno intese la divisione tradizionale in p. epica, lirica, drammatica, e altre distinzioni quali p. didascalica, satirica, bucolica (o pastorale), dialettale, colta, ecc., nonché varie altre espressioni in cui la parola è più o meno intenzionalmente contrapposta a «prosa»: scrivere in p. (cioè in versi), opera di p., studio della poesia. b. Il singolo componimento verbale realizzato nelle forme su accennate: scrivere, comporre, dettare, improvvisare una p.; studiare, leggere, recitare, commentare una p.; imparare una p. a memoria; p. lunga, breve, bella, mediocre, brutta; le p. del Parini; raccolta di poesie. Al plur. è frequentemente titolo (da solo o accompagnato da qualche determinazione: Poesie giovanili, Poesie d’amore, ecc.) di raccolte poetiche. c. Il complesso delle opere poetiche, o il loro carattere stilistico in senso lato, prodotte, in generale o in un determinato periodo di tempo, da un popolo o in un’area culturale, da un insieme di autori o da un singolo autore, o che siano riferibili a un certo gusto, a una poetica, a una scuola: la p. educa il cuore, la p. fa la vita, riempie magari certe brutte lacune, alle volte anche la fame, la sete, il sonno (Alda Merini); la p. di tutti i tempi; la p. classica, la p. romantica; la p. greca, latina, francese, romanza, orientale; la p. di Omero, di Virgilio; la p. degli stilnovisti, dei petrarchisti; la p. simbolista, la p. decadente, la p. ermetica, ecc. 2. a. Il carattere di opere o parti di opere ritenute particolarmente ispirate e suggestive: la p. dell’episodio di Paolo e Francesca; una pagina ricca di p.; versi perfetti ma privi di p.; un testo scientifico che raggiunge il livello della poesia. In questa accezione, tratto pertinente non è più il metro o un equivalente del metro, ma l’elevatezza concettuale e formale, al di là di una rigida adesione a schemi formali di metro, ritmo, struttura (come nelle frasi: in questa p. ciò che è assente è proprio la p.; in quella semplice cronaca c’è vera p.), per cui è giudicata e sentita «poesia» la capacità di esprimere forti sentimenti, di suscitare emozioni, associazioni di immagini, di innalzarsi sui valori correnti per forza creativa e profondità di concetti: di contro ai suoi modesti tentativi poetici in lingua la p. dialettale del Belli è p. autentica; nel grigiore letterario dei suoi tempi sola si stacca, altissima, la p. del Leopardi; per l’intensità del sentimento, più che per la perfezione formale, questa è vera p.; il suo intervento fu così appassionato da sfiorare la poesia. b. Per estens., il carattere di qualsiasi composizione o opera anche non verbale, in quanto raggiunge un valore «alto» in opposizione a prodotti correnti «bassi»; si può così parlare di p. di un’opera architettonica, di p. di Raffaello, di eleganza formale di un quadro che non raggiunge tuttavia la p., di sentimento, carica emozionale, ispirazione che conferisce valore di p. a un brano musicale, a una scultura, a un film, a una danza esotica. c. Il carattere che può essere attribuito, per ulteriore estensione metaforica e sempre nel quadro di un’opposizione tra «alto» e «basso», a qualsiasi oggetto, situazione, comportamento, in quanto questi contengano qualcosa che li elevi al di sopra del quotidiano (si tratta però, generalmente, di usi di derivazione colta e banalizzati in stereotipi linguistici): la p. della natura, di un tramonto; la p. della vita; non c’è p. nel suo modo di fare; non ci trovo poesia in quel matrimonio; basta vederla mangiare per perdere tutta la p.; in altri casi l’opposizione, pur permanendo, è meno banalizzata e con poesia s’intende riferirsi a valori più profondi e più veri, insospettabilmente alti, contrapposti ai falsi valori che, ritenuti «alti», sono invece «bassi»: la p. di un filo d’erba; la p. delle piccole cose; una desolazione che ha una sua p.; la p. del quotidiano, ecc. d. Il carattere che può essere attribuito, in senso negativo, a fatti, persone, situazioni, atteggiamenti, in quanto non attaccati alla realtà, al concreto, al positivo, e quindi spesso cervellotici, utopistici o illusorî: ma questa è pura p.!; è un uomo che vive di p.; con la p. non si fa strada nella vita, ecc. ◆ Dim. poeṡiétta (raro poeṡiina); spreg. poeṡiùccia, poeṡiòla; pegg. poeṡiàccia (tutti nel sign. concr. 1 b).
La poesia è un genere letterario, ma la consuetudine all'utilizzo, soprattutto sui Social, ha portato ad aprire a nuove implicazioni, nonché a diverse mistificazioni.
Nella vulgata comune il termine poesia è ormai identificata (erroneamente) alla manifestazione delle emozioni, arrivando a confondere i piani, quindi a recidere le radici con il genere. Mi spiego meglio: ormai ogni cosa che esprime un'emozione, una frase anche banalissima con un pizzico di sentimento, viene identificata come poesia. In realtà le persone confondono il concetto di emozione, che può essere veicolata anche attraverso costrutti semplici, con la poesia, destituendola così dal valore letterario che implica una forte connessione con la tecnica e lo stile. Il risultato? Tutti credono di essere poeti, soprattutto chi non ha alcuna cultura letteraria, non legge, né ha cognizione di causa. Questo non significa che non esistano casi eccezionali, ma la confusione regna, abbassando il livello della qualità e introducendo delle falsificazioni sull'argomento.
A proposito di termini, usiamo quelli giusti. Un tramonto ispira una poesia, ma non è poesia, piuttosto è un evento che suscita un'emozione. L'emozione è qualcosa che l'arte dovrebbe veicolare di default, ma non è poesia e implica l'uso della tecnica. Del resto, che emozione c'è in un balletto, se non ha una forma grazie alla coreografia? Io posso avere una poltiglia di emozioni d'amore, ma senza la forma narrativa con delle regole prestabilite, non nascerebbe un romance. Per la musica: l'emozione nasce dalla combinazione delle note. Sono esempi in cui tecnica e talento s'intrecciano, a dispetto di chi si ritiene un genio spontaneo. Ma a questi geni ricordo che Leopardi sostenne sette anni di studio matto e disperato; e ricordo che Dante ha avuto una grande formazione. E, ancora, grandi opere nascono da una grande disciplina. Esistono le eccezioni, certo, ma prima di chiamarci poeti, aspettiamo un po' e soprattutto conosciamo la materia e non pensiamo che basti un ego spropositato che mette al centro la propria vita eccezionale, per essere definiti dei grandi. La poesia richiede talento, ma anche studio!! E una grande capacità linguistica, in un mondo in cui tutto va verso una semplificazione di termini al limite del superficiale.
Riappropriamoci della poesia, quella vera. Usiamo le giuste parole, per cominciare.
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