martedì 4 maggio 2021

RECENSIONE/INTERVISTA - "Melting Point" di Baret Magarian: racconti tra Kafka e Coe, quando la creatività è un fiume in piena

Lo abbiamo conosciuto con "Le macchinazioni" (clicca qui), qui lo ritroviamo con una raccolta di racconti dal titolo emblematico: "Melting Point" (Quarup, 2017). Baret Magarian dà un nuovo saggio del suo talento narrativo, cimentandosi in un genere in cui esprime ancora una volta la sua grande capacità creativa. E qui, troviamo anche Jonathan Coe... come?  Scoprilo nella recensione/intervista

"Melting Point": la trama
Dieci racconti che, come altrettante sostanze, arrivano in questa raccolta a fondersi in una sola miscela, unica e plurale. Generi e trame che precipitano verso un centro, come uno sciame di stelle inghiottite dall’orizzonte degli eventi: melodramma, thriller, confessione, enigma, qui si incontra la vita narrata in tutte le sue forme; un mercante di frutta (non propriamente intelligente) rivela lampi di genio; una donna, che in un indimenticabile notturno greco, smette le vesti del giorno per svelare la sua verità a una verdeggiante veste d’acqua; un lussuoso resort nel Pacifico, che piomba dalla mitezza del Buddhismo al crimine più brutale… Il reale si fonde e sprofonda nel sogno, che poi – come disse qualcuno – è proprio la mistura di cui siamo fatti.


La recensione
Abbiamo un uomo alle prese con un pacco dalle strane fattezze, una ragazza disoccupata invischiata in una situazione stucchevole, una sensuale creatura, due coinquilini che si ritrovano, un pannello suggestivo, un fruttivendolo attaccabrighe, due eccellenti nuotatrici, una donna con due amanti, una cattedrale e un mare in continuo movimento. Dieci storie, ciascuna a delineare mondi e situazioni differenti. Nell'intervista, Baret Magarina mette in rilievo la sostanziale differenza tra "Melting Point" e "Le macchinazioni". Tuttavia io ho trovato alcuni aspetti in comune, malgrado si tratti di opere completamente diverse per genere e struttura.

Un primo elemento comune è la creatività che rende la scrittura di Baret, vulcanica. In ogni racconto avvertiamo una matrice creativa rutilante. Non c'è posto per la banalità narrativa, né per la ripetizione di schemi di trama consolidati. In secondo luogo troviamo uno scavo nel vivere umano da cui scaturisce quel senso dell'assurdo che ritroviamo anche nel romanzo. L'ordinario si capovolge nel suo opposto, creando dei giochi di corrispondenza con cortocircuiti esistenziali che portano il lettore sull'orlo di un abisso tanto ipnotico quando sorprendente. Un terzo aspetto è lo stile: un fluido scorrere di immagini e suggestioni, tutte intrise da una potenza evocativa che presenta una base di riferimenti culturali potenti. 


C'è sempre qualcosa di inafferrabile nei racconti; nella mistura di generi e suggestioni, troviamo lo specchio che riflette il nostro mondo, forse capovolgendo prospettive. Il tutto partendo dal vissuto, da dati reali che, gradualmente, sembrano assumere connotati, ora curiosi ora "kafkiani". La letteratura è la dimensione di Magarian: la narrazione che si carica di significati che vanno oltre le mode, lasciando nel lettore tracce di pensieri che ci riportano al nostro viverci. 

La scrittura è una fucina in cui si realizza veramente un "melting"; ma il lettore si trova davanti a una penna che sa tirare le fila di questa fusione, valorizzando la ricchezza insita nella molteplicità di visioni. Il senso di assurdo non si respira nella scrittura, ma nelle modalità con cui gli accadimenti irrompono nella vita dei personaggi, scompigliando le certezze. Baret è un autore di alto livello, dotato di un'ironia che rende il narrato leggero, anche quando gli eventi sembrano ancorati a pesanti macigni. Ogni racconto siamo un po' noi. Per questo consiglio "Melting Point": in esso ci possiamo perdere e poi ritrovare. 
 
L'intervista

Caro Baret, è un piacere poterti ospitare di nuovo su La penna sognante. Parliamo di “Melting point” che secondo me, si lega a “Le macchinazioni” per la penna e per la capacità narrativa che ti appartiene. Tra le due opere, c’è una qualche connessione, dal tuo punto di vista di autore? Le senti accomunate da qualcosa, rispetto a quello che vuoi raccontarci?
Nella mia opinione le due opere sono molto diverse e io non vedo qualche legame tra loro, per dire la verità. Credo che i racconti in "Melting Point" siano più viscerali rispetto a "Le Macchinazioni"; inoltre ritengo che ci sia più vita “nuda” nei racconti. "Le Macchinazioni" è forse un'opera troppo raffinata, troppo rarefatta… i racconti sono fatti più di sangue, di sabbia, di lacrime… ma comunque ho cercato in tutte e due opera di esprimere una vasta gamma di emozioni, atmosphere e situazioni. Credo che un lettore possa trovare TUTTO in entrambi i libri: amore, sesso, identità, tragedia, commedia, la natura, orrore, bellezza … 

Come e quando nascono i racconti di “Melting Point”?
Nove anni fa ero su un volo per Larnaca, Cipro, in procinto di iniziare una vacanza in compagnia di amici. C'era qualcosa di vagamente importante nella mia sensazione di eccitazione e di liberazione dalle abitudini quotidiane e dalle routine mortali in cui la vita normale può far scivolare.
A circa due ore dall'inizio del volo accadde un'altra cosa vagamente importante: è scivolata fuori dall'epidermide stanca e callosa del quotidiano. Era quasi impercettibile, una tensione indefinita nello stomaco, un fremito di eccitazione "emancipante". Riconoscevo a metà quella sensazione, anche se non mi era del tutto familiare. Ho tirato fuori il mio MacBook e ho iniziato a scrivere e, dopo un'ora e mezza, ne è uscita una storia più o meno completa (la storia si sarebbe eventualmente intitolata "Clock"; è il secondo della raccolta). Aveva bisogno di un po' di rimescolamento, di lucidatura, un po' di poliestere, forse qualche iniezione di botox letterario, ma avevo davanti a me la “cosa in sé”, il bolo essenziale del pezzo. Ero piuttosto soddisfatto, non avevo mai provato prima questo tipo di facilità creativa.
Successivamente, mentre ero in vacanza, la stessa cosa è successa in altre due occasioni. Storie più o meno complete caddero più o meno da me, o dal mio cervello, o da ciò che ne resta. Forse aveva qualcosa a che fare con le brezze cipriote, le mezedes o la penombra di pace che scorreva sulla mia coscienza, come un amante mistico nella notte.
Dopo la terza di queste epifaniche esplosioni creative, ho iniziato a rendermi conto che avrei potuto intraprendere quel lungo, fastidioso, meraviglioso viaggio, noto anche come la composizione di un libro. Ora, molte idee per le storie stavano spuntando come funghi, tutte esigenti di essere sviluppate e realizzate. È stato piuttosto meraviglioso e misterioso e ho iniziato due, tre, quattro storie in uno spirito di eccitazione e lieve delirio.
In poche altre occasioni altre storie "si sono scritte da sole". Ricordo molto chiaramente che prima di iniziare a scriverle non avevo assolutamente idea di cosa sarebbero state le storie, nessuna idea di quale fosse la storia o trama di base, o di chi fossero i personaggi. In qualche modo sono riuscito a penetrare in profondità in un crogiolo sotterraneo di creatività fusa, tirando fuori queste piccole pepite di narrativa.

Uno degli aspetti che più mi ha colpito, già notata nel romanzo, è la tua grande inventiva: crei situazioni surreali, “kafkiane”, ma riesci al contempo a essere credibile… vuoi raccontare quel senso dell’assurdo che irrompe nel mondo da fuori o l’assurdo è già dentro a cose, persone ed eventi? Con quali effetti e conseguenze? Come vedi questo assurdo e come lo percepisci da scrittore? Come cerchi di raccontarlo?
Suppongo che le cose assurde ci aspettano sempre, aspettano di accadere, sono dietro tutte le situazioni, i luoghi, i popoli. Le persone sono sciocche, si sentono "importanti" e arroganti. Pensano di essere speciali e in nome di questa particolarità compiono cose terribili: fanno guerre, rubano la terra, sfruttano gli altri, trattano gli altri in modo crudele, scortese e ingiusto. Se tutti potessimo imparare a lasciare andare l'idea di essere speciali, il mondo diventerebbe immediatamente un posto più gentile e gentile, penso.
Il riconoscimento dell'assurdità è l'antidoto al veleno della particolarità.

Un secondo aspetto, è il tuo essere cosmopolita: troviamo racconti di ambientazioni differenti, ma c’è sempre un qualcosa che li unisce, in un modo o nell’altro, ovvero il tuo mood di narrare insieme a temi universali che creano un filo rosso molto forte. C’è un ambiente che privilegi e, in ogni caso, come arrivi a definire l’ambientazione in un racconto? 
Lo senti immediatamente quando sei in presenza di un mondo che può essere trasportato nella finzione. A volte il mondo è immenso e misterioso, a volte è piccolo e delicato. Ma c'è qualcosa che è nell'aria, che ti emoziona come scrittore, una certa consistenza, un'energia, una corrente delicata. Devi stare attento a non schiacciarlo con la tua stessa brutalità, la tua stessa letteralità, la tua stessa stupidità. Ma in generale è una cosa molto istintiva: la sensazione di essere incappato in uno scenario che può ingenerare una storia, che contiene possibilità, intuizioni ed emozioni. Ecco la magia.

In ogni racconto c’è sempre qualcosa che sfugge… perché e da cosa nasce? È il gioco della tua narrativa o della vita?
Penso che stiamo tutti cercando di scappare da qualcosa: il passato e i suoi traumi, un lavoro opprimente, le etichette che gli altri hanno posto su di noi, i sentimenti di fallimento o tristezza. La vita è una continua fuga dai fantasmi, dagli amanti, dalle paure. Io stesso sono un maestro "del volo", un disco volante, un maestro delle uscite, delle sparizioni, delle partenze radicate nella sabbia e scolpite nel legno che non si trova su questo pianeta.

E l’amore, che ruolo ha? C’è anche qui qualcosa di sfuggente…
Probabilmente l'amore ha una parte importante in tutta la mia narrativa. Suppongo che giochi un ruolo importante in tutta la narrativa. L'amore è sempre un'oasi o un inferno o una foresta o un serraglio o una serra o un albero o un deserto. In quanto tale, offre a qualsiasi scrittore creativo grandi fonti di ispirazione e di rimpianto auto-cannibalizzante.

C’è una visione politica nei tuoi racconti, in bilico tra presente e futuro. Tu come ti poni rispetto alla politica e al rapporto tra politica e letteratura (potremmo dire anche, arte)?
La vera letteratura e l'arte sono nemiche della politica che nel complesso è il regno dell'opportunità, delle bugie e della corruzione. La letteratura cerca di porre rimedio a questo deplorevole stato di cose svegliando le persone abbastanza da permettere loro di non credere o rifiutare le bugie e le narrazioni dei politici e il loro lavaggio del cervello e la propaganda. Purtroppo le persone sembrano non voler più essere svegliate dal loro sonno; anzi stanno dormendo sempre più profondamente, grazie ai loro smartphone, ai social media e all'onnipresente macchina mediatica di destra.

Ci sono dei racconti che per te hanno un significato particolare o a cui sei più legato? Se sì, quali o quale e perché?
Le mie storie preferite nella raccolta sono probabilmente: “The Pain Tapestry” (che ho adattato come monologo con i grandi attori Roberto Zibetti e Pall Palsson); “Island”, “The Opiate Eyes of the Buddha” and “The Watery Gowns”. Sono particolarmente affezionato alle due sorelle in “The Opiate Eyes” che possiedono molta grazia filosofica, ed energia spirituale. Mi piace anche Kirsten in “The Watery Gowns” perché, come me, lei è piuttosto goffa e timida. “Island” si svolge a Santorini, che è probabilmente il mio posto preferito al mondo, soprattutto perché ha una spiaggia segreta di cui nessuno conosce l'esistenza... un luogo magico dove tutti i sogni di unità cosmica possono diventare realtà…. in una buona giornata!

La tua scrittura è un mix di influenze da cui sei riuscito a elaborare un tuo stile originale, come già ho detto. Già lo abbiamo visto con il romanzo e “Melting Point” è una conferma. Come senti la tua scrittura? Come si è evoluta?  
Continuavo ad andare avanti come un asino spinto su una collina dal suo spietato padrone, sovraccarico di tappeti e stuoie di Aleppo, spezie e perle di preoccupazione, e pezzi di DNA armeno e un'istruzione inglese tutti marinati al sole del Mediterraneo. Alla fine l'asino è arrivato in cima alla collina e ha avuto un meritato riposo.

E l’incontro con Jonathan Coe? Ce ne vuoi parlare?
È un grande amico, un grande spirito, generoso, nobile e umile. E, naturalmente, un grande scrittore che riesce a costruire romanzi labirintici con trame perfette e personaggi toccanti, umani, universali.

Ricordando quello che già avevi detto nella precedente intervista: hai aggiornamenti sul fronte letterario?
Sto cercando di finire un secondo romanzo e sto lavorando a una seconda raccolta di storie. Una di quelle storie riguarda un uomo su un treno che scopre che il treno è un portale per l'inferno, il paradiso e il purgatorio. “Dante sull'orient express”, o “L'aldilà su Frecciarosa”. O qualcosa in tal senso...

Se vuoi aggiungere altro…  
No grazie, sono a posto!
Con affetto, Baret

Leggi la recensione/intervista dedicata a "Le macchinazioni" e la bio di Baret Magarian: clicca qui

Nessun commento:

Posta un commento