domenica 10 ottobre 2021

INTERVISTA-RECENSIONE: “Ithaka – Luna in Cielo e Rose in Terra” di Federica Baglivo, un romanzo tra Omero e Goethe, una ricerca profonda e appassionata tra la Grecia e la Germania post-belliche

L'epoca post-bellica raccontata in un romanzo maturo, stilisticamente compiuto, con personaggi in cui è impossibile non identificarsi e temi che scavano nel cuore degli archetipi. Un romanzo che merita di essere letto con un'attenzione forte tanto quanto la sensibilità di una penna che definirei ottima.  “Ithaka – Luna in Cielo e Rose in Terra” (DAE) è il romanzo che recensisco, per poi dare voce all'autrice, Federica Baglivo, protagonista di una nuova intervista targata La penna sognante. 


“Ithaka – Luna in Cielo e Rose in Terra”: la trama
Ithaka ha venti anni, vive su un’isoletta greca sperduta in mezzo al mare a metà degli anni Sessanta e porta lo stesso nome della patria di Ulisse, che l’eroe omerico sognò di raggiungere per una vita intera.
Ithaka ha passato l’infanzia con suo padre ma una malattia che ha colpito il suo cuore, glielo ha strappato all'età di dieci anni. Le rimangono di lui il fermaglio a forma di rosa bianca con cui le legava la treccia e due misteriose poesie, una delle quali dedicata alla sua vera patria, la Baviera, da cui egli è fuggito anni addietro senza che nessuno ne sappia il motivo preciso. Ithaka, spinta dalla voglia di sapere e di capire, intraprende un viaggio alla volta della Germania. Si ritroverà nell’apparentemente tranquilla cittadina di Kreuzbach. Ma l’apparenza inganna, infatti, tra le casette con giardino e sotto il cielo azzurro si nascondono in realtà inquietanti segreti e conti in sospeso. La vita che stenta a ripartire, le ferite aperte, i rimandi della guerra, una comunità ebraica chiusa, una politica ristagnante, un gruppo di neonazisti che pratica violenze incontrastate.
Una luce nel buio: Ithaka conosce un gruppo di ragazzi animati da un autentico desiderio di cambiare le cose. Al loro fianco Ithaka ricostruirà i tasselli di un passato che da anni sembra attenderla nei luoghi, nella gente e nelle parole.

La recensione
Da tempo non leggevo un'opera prima indipendente di respiro così ampio. E devo dire che mi ha lasciato tantissimi spunti di riflessione - che, ricordo, è uno degli obiettivi della letteratura, in questi tempi di estremo narcisismo poetico e narrativo -  oltre che un senso di bellezza che definirei catartico. Questa recensione sarà breve per dare spazio all'intervista a Federica, che ritengo un'ottima penna, dotata di un forte impegno etico. Questo è un romanzo con la R maiuscola.

Due difetti che ho trovato: una certa prolissità e qualche slittamento di punto di vista; ma la penna scava così a fondo nelle questioni al punto da rendercene partecipi. Non c'è un ricorso alla retorica, mancano gli slogan perché ci sono frasi che restano scolpite nella memoria e nella coscienza che non puntano all'effetto "markettaro" ma a toccare le nostre corde più intime. I temi sono molteplici e attuali, calati in epoca post-bellica, decisamente poco considerata dalle narrazioni. Oggi, in effetti, molti romanzi - ottimi - sono calati nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, con focalizzazione sulla Shoah. La scelta di Federica è invece emblematica, perché ci mostra tutti gli strascichi di un'era che ci ha segnati nel profondo, anche arrivando a oggi. Qui siamo tra gli anni Cinquanta e Sessanta e l'autrice ricostruisce benissimo il contesto, all'interno del quale si incastona la storia di Ithaka.

Ithaka, la protagonista, ha il nome perfetto e la personalità che scolpisce scenari diversi con la sua voce narrante. Intorno a lei si snodano le vicende di altri personaggi in cui tutti noi possiamo rispecchiarci. Personaggi che mostrano rotture, crisi, capacità di riconvertirsi o, al contrario, la crudeltà del fanatismo che rievoca fantasmi del passato, mai esorcizzati. Federica racconta tutto, andando oltre. Poesia e prosa, sempre consapevoli anche dal punto di vista tecnico, si intrecciano, risultando perfettamente integrate.

Il romanzo è una porta spalancata sul passato, sulle dinamiche della paure che alimentano l'odio, sul ricordo che deve permanere per cercare di ricostruire un presente basato sulla razionalità. In questo, la poesia e la letteratura possono avere un ruolo pregnante: la cultura, la bellezza a esorcizzare la paura, per favorire l'incontro tra gli esseri umani. Perché di questi esorcismi abbiamo ancora bisogno oggi, e non solo sul nodo dei migranti. Si può essere immensamente intolleranti anche con coloro che condividono lo stesso ceppo linguistico o etnico, ma non le idee. E si sa che ci vogliono anni per insegnare a essere tolleranti e pochi giorni per imparare a discriminare, a partire dalle nostre più profonde e umane paure.  

Per concludere
"Ithaka – Luna in Cielo e Rose in Terra”  da leggere, consigliato anche ai più giovani. Una riflessione sull'odio, da declinare a oggi. Una storia con un intreccio avvincente che sa essere anche un volo poetico. Un romanzo storico, attendibile, ricco e molto maturo. Una bellissima penna.       

L'intervista: Federica Baglivo

Ciao Federica, benvenuta! Raccontaci qualcosa di te: la tua formazione, il lavoro, il rapporto con la lettura e la scrittura. Cosa ami, cosa no…
Ciao! Ecco, iniziamo subito con una domanda da cento milioni di euro! Chi sono? Federica. Per molti Fede, come la Fede che fa tutto avverare, anche se in realtà il mio nome ha origini germaniche e significa “potente nella pace”. Sono felice di portare in me entrambe queste sfumature. Sono nata in Puglia, ho fatto il mio primo "bagno a mare" all’età di diciassette giorni, mi è sempre rimasto dentro. Sono cresciuta in Francia e poi in Abruzzo, il mare c’era sempre, ma anche le montagne, d’inverno nevicava tanto e si andava con lo slittino. A sette anni, l’Ispirazione bussò per la prima volta alla mia porta sotto le sembianze della maestra Imelda, che ci assegnò di scrivere una poesia sulla pace e sulla guerra. Lo feci, era un compito, piacque, venne pubblicata sul giornalino della scuola. Da allora non ho mai smesso, ho cambiato tecnica, temi no. Con i miei fratelli mi divertivo a giocare con i personaggi dei cartoni animati che ci piacevano, solo che io non avevo un ruolo stabilito, come loro, ma dovevo “reggere la storia”, ovvero far parlare spalle, nemici, negozianti, far succedere cose… man mano aggiungevo particolari, finché non arrivai a inventare vicende e volti tutti miei! A sedici anni mi sono trasferita a Torino, facevo il liceo classico, ero convinta che avrei studiato letteratura o lingue. Invece no, perché la mia professoressa di Storia e Filosofia, il mio compagno di banco e l’allora banchiere centrale d’Europa ci misero la coda, facendomi appassionare alla politica. Scelsi Economia all’università e cominciai a mischiare le mie passioni per le Lettere e per la cosa pubblica, impegno che porto avanti tutt’ora. Nel 2015 sono tornata in Germania, ho ritrovato la mia casa nella Renania, adesso abito a Francoforte, in Assia. Le mie due anime continuano a pervadermi. La poesia rimane in me, amo la filosofia e l’educazione politica, sono appassionata di teologia e di lingue. Scrivo in italiano, parlo in tedesco, a volte viceversa, mi sto cimentando con l’ebraico. Adoro la bellezza, i colori, i fiumi, le colline, le foglie d’autunno. Mi piace mangiare, ma in fondo chi non lo fa volentieri?

Arriviamo a “Ithaka” (abbrevio il titolo per comodità): come nasce e come sei arrivata alla pubblicazione?
Ithaka nasce ufficialmente nel 2014, ma mi ronzava in testa da un bel po’. La mia Ispirazione è piuttosto disordinata, mi mostra immagini, dialoghi, e non mi dice cosa ci devo fare, almeno non subito. All’inizio pensavo che la protagonista fosse nata su un aereo, poi ho capito che era su un’isola. Non afferravo dove la storia volesse andare a parare, finché non mi sono ricordata di aver scritto, anni addietro, forse pensando di inserirla in un’altra opera mai realizzata, la parte sui due gruppi politici e sulle loro differenze. Ho messo insieme i cocci e così è venuta fuori la vicenda. La gestazione è stata relativamente breve per i miei standard, un anno circa, la prima stesura è durata addirittura solo sei mesi. Era un periodo particolare, ero al primo semestre di università e, per una strana congiunzione astrale, una commistione tra fortuna, talento, destino e che so io cos’altro, avevo finito tutti gli esami al primo appello, ritrovandomi con due mesi liberi interi prima dell’inizio delle lezioni. Stavo a casa perché tutti gli altri avevano da fare e scrivevo una media di 10 ore al giorno. Nel frattempo studiavo l’ambientazione storica e i mi informavo sui risvolti teologici con l’aiuto del mio professore di religione del liceo, tutt’ora per me la sapienza personificata in qualsivoglia ramo dello scibile umano. Il romanzo ha poi riposato, tra varie revisioni, un paio d’anni, finché non ho visto per caso il concorso indetto dalla Dario Abate Editore, ho deciso di partecipare e… non ho vinto! Il romanzo è stato comunque giudicato interessante, è arrivato in finale e dopo circa due anni ulteriori è stato pubblicato. E così eccoci qua.

Tra Grecia e Germania… tra Omero e Goethe… quali sono i nessi e perché questi due poeti?
Beh, con loro due sono in un certo senso tornata alle origini. Omero rimanda ai miei studi classici ed è, se così vogliamo chiamarlo, l’iniziatore della cultura e della letteratura occidentale, quindi dei valori su cui si fonda la nostra civiltà. Poi il fatto che sia tutto questo senza essere probabilmente nemmeno esistito (non ditelo a Ithaka che poi la prende a male!) mi ha sempre intrigato. Goethe invece è il mio modello, quando lessi il suo “I Dolori del Giovane Werther”, pensai che non avevo provato niente di così straordinario e che quella sarebbe sempre stata per me la purezza a cui aspirare nello stile e nella storia. Tutt’ora questo rimane per me l’autentico Goethe, nonostante si tratti di un’opera giovanile, perché non sono mai riuscita a ritrovare un’emozione tanto intensa nelle opere della maturità. Goethe era tra l’altro un estimatore di Omero, lo considerava, come molti nella sua epoca, il suo padre poetico. In generale la Germania dei tempi di Goethe, patria di poeti, filosofi, pensatori e artisti, si considerava la destinataria dell’eredità del classicismo e diciamo che il resto d’Europa le riconosceva questo primato. Che in un ambiente del genere abbia potuto poi svilupparsi e sfiorire un’aberrazione come il nazismo ha scosso molti, tutt’ora ci si chiede perché, come sia stato possibile, e questo è uno degli interrogativi che mi animano e che ho voluto portare avanti nel romanzo. Nel periodo in cui ho scritto Ithaka, inoltre, la Grecia e la Germania erano impegnate in screzi politici d’altra natura, che trovano il loro posticino nascosto fra le pagine. Il rapporto tra questi due popoli e queste due nazioni, così diverse eppure con destini legati, è uno dei fili conduttori dell’intera vicenda.

Chi è la protagonista? O sarebbe meglio dire, chi sono i protagonisti?
Ithaka direi che è la protagonista indiscussa, infatti è lei che dà il titolo al libro. Chiamata così per volere del padre, è una ventenne determinata, ferma nelle sue idee, ma anche convinta che tutto l’universo si riduca al suo microcosmo e sia interpretabile secondo i suoi schemi. Nella sua vita regna la poesia e non c’è spazio per rogne terrene come la politica. E come potrebbe essere altrimenti? Suo padre, Fritz, è un cultore del bello, delle arti, del Romanticismo, che la fa crescere in un mondo fatto di versi, cieli e rose. Lui è la purezza e la dolcezza incarnate, non ha mai pensieri torbidi e non si lascia corrompere dalla decadenza e dalle brutture del presente. Attraverso il suo viaggio in Germania Ithaka scoprirà tuttavia un’altra realtà, dove queste brutture sono entrate di prepotenza e dove la bellezza e l’arte non bastano più, è necessario sporcarsi le mani. Per mezzo dei racconti e delle testimonianze farà la conoscenza di Oskar, un eroe sconosciuto, che rappresenta il lume della ragione e l’aderenza ai principi in un contesto di sopraffazione, violenza e brutalità. Incontrerà il suo erede, Martin, che con il suo gruppo di giovani impegnati nella politica comunale, cerca di tenere vivi i suoi ideali e di combattere con essi le tenebre. Si troverà faccia a faccia con chi queste tenebre le alimenta e minaccia di risvegliare i demoni sopiti. Chi avrà la meglio? E quale sarà il ruolo che Ithaka dovrà scegliere?

Sull’ambientazione storica: oserei dire che sviluppi il romanzo in un’epoca che è poco ricorrente nella narrativa contemporanea, più attenta agli anni cruciali della Seconda Guerra Mondiale, con riferimento alla Shoah. Qui ci collochiamo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare nella Germania post-bellica; e scopriamo che le idee naziste persistono con una loro violenta ostinazione. Ci vuoi raccontare qualcosa di questo periodo? Perché l’hai scelto e come ti sei approcciata a esso?
Il mio romanzo cerca di raccontare di un’epoca che spesso non ha una voce, infatti, come hai detto, i riflettori si spengono alla fine della guerra. Ma la resa non ha cancellato quello che è stato. Le macerie nelle città e le lacerazioni dei cuori sono rimaste a lungo, hanno avuto strascichi persistenti che in parte perdurano ancora oggi. La Germania si è trovata divisa, fisicamente, certo, ma anche per quanto riguarda le coscienze e i sentimenti. Ci si interrogava, ci si tormentava, si cercava di trovare un senso, una spiegazione. Nella vicenda di Ithaka vengono mostrate le forze variegate e opposte che tentano di interpretare il passato e di plasmare il futuro. C’è chi vuole ricostruire uno Stato su nuovi valori e fare del ricordo un monito eterno, c’è chi desidera soltanto dimenticare tutto e andare avanti. La gioventù progressista pretende ammissioni e riconoscimenti dalle generazioni precedenti, lotta per la giustizia e per l’emancipazione, come Martin e i suoi compagni. Dall’altra parte c’è chi il nazismo vorrebbe riportarlo in auge, infatti le sue dottrine non sono morte nel bunker di Berlino ma continuano a strisciare e a serpeggiare nelle piazze, nelle periferie, nelle cabine elettorali. La popolazione spesso osserva inerme, non scorge i pericoli o forse li ignora, il suo unico scopo e riprendere a vivere, anche a costo di negare quanto è stato e di nascondere la polvere sotto il tappeto. E in tutto questo c’è ancora chi deve tribolare per trovare il suo posto, perché gli vengano riconosciuti i suoi diritti e la sua dignità, come nel caso di Nathan e la sua famiglia. È un’epoca molto interessante, ricca di cambiamenti epocali. La cosa più importante e più difficile per me è stata rendere lo spirito del tempo e del luogo. Non basta conoscere i grandi fatti, bisogna immergersi nelle abitudini, nei costumi, nei pensieri. Come andavano vestiti i bavaresi del 1960? Cosa mangiavano la domenica? Avrebbero usato una determinata parola? Nonostante i libri mi abbiano aiutata molto, ho sempre preferito le fonti dirette, perché nessuno meglio di chi li ha vissuti può conoscere con vividezza certi particolari.

L’identità è un altro tema centrale: puoi parlarcene? Che cosa hai voluto evidenziare?
L’identità e la ricerca di essa occupano molto i protagonisti della vicenda. A cominciare da Ithaka stessa che, nata e cresciuta nel suo paesino, non può dirsi completamente greca a causa di suo padre e percepisce di avere qualcosa di diverso dagli altri fin da quando i compagni di scuola le chiedono il significato di alcune parole in tedesco. La nazionalità e le origini sono una delle sfaccettature di questa identità e vengono considerate in modo diverso secondo la sensibilità dei personaggi. Fritz ha un’idea romantica di patria, la ama perché è bella e perché rappresenta ai suoi occhi un ideale. Nel momento in cui lei verrà meno a questo compito e si lascerà insozzare da idee vergognose, verranno meno anche il suo amore e il suo rispetto per lei. L’abbandonerà, smetterà di parlarne e addirittura la disconoscerà di fronte alle autorità e alla sua famiglia. Altri, come Nathan, considerano la patria legata all’impegno politico, alla fedeltà e al servizio. Essa non è necessariamente bella di per sé, si deve lavorare per renderla tale e soprattutto si deve amarla a prescindere, senza pretendere nulla in cambio, indipendentemente dal fatto se lei ti ami a sua volta, ti protegga o addirittura ti perseguiti. Il padre di Nathan decide di farlo nascere in patria nonostante tutto e accetta di scappare solo per salvarlo, lui una volta cresciuto raccoglie la sua eredità e si batte con ogni sua forza perché la Germania rinasca dalle sue ceneri e torni a essere un modello di virtù. Per gente come i Roten, invece, l’idea di nazione è data dall’esclusività e si traduce in discriminazione e affermazione di superiorità verso gli altri, in disprezzo, volontà di schiacciamento e di eliminazione di coloro che non sono considerati degni. Un altro tassello dell’identità è dato dall’appartenenza politica. I membri dei due gruppi vogliono sentirsi parte di qualcosa, condividere una missione, dei valori, forse anche dei riti. Questo può dare loro forza e portare a uno sviluppo dell’individualità, ma finisce in certi casi, come in quello di Siggi, per diventare una vera e propria prigione, dalla quale è quasi impossibile affrancarsi.

Questo è anche un romanzo che verte su un archetipico, ovvero la ricerca. Ithaka parte per la Germania, in cerva delle proprie radici. Che cosa trova e come hai voluto sviluppare questo archetipo?
Ithaka non cerca solo le sue origini, cerca di conoscere il padre attraverso il suo passato, dato che la sua morte le ha impedito di vivere con lui nel presente. Vuole conoscere i suoi misteri irrisolti, scoprire che cosa ha sofferto e quali ferite si portava nel cuore. Il suo viaggio la porterà a scontrarsi con la Storia e con qualcosa di molto più grande di una semplice vicenda personale. Come spesso accade, alla fine lei dovrà trovare se stessa, ovvero capire quale ruolo vuole assumere nel tempo e nella società, quale tipo di essere umano vuole diventare. Non è solo una traversata in senso fisico, dallo Ionio alle Alpi, rappresenta anche il passaggio all’età adulta e alla consapevolezza del proprio compito. Ithaka cerca delle risposte, le troverà, ma troverà anche nuove domande e risposte a domande che lei non si era posta. Muteranno le sue prospettive e i suoi scopi. I suoi compagni di viaggio le lasceranno qualcosa, come lei lascerà qualcosa a loro incrociando il loro cammino. E alla fine la ricerca perfetta sarà forse circolare.

Poesia e letteratura: che ruolo hanno? Possono essere la chiave di volta per l’evoluzione dell’essere umano? In che modo?
Poesia e letteratura permeano l’intera vicenda e svolgono un ruolo assolutamente primario. Ithaka inizia il suo viaggio inseguendo due poesie, che forse riuscirà a comprendere solo nel finale. La poesia dà un senso alla vita di Fritz e rappresenta la bellezza nel mondo, la forza primordiale che permette all’essere umano di rimanere a galla e di non sprofondare nell’abisso. Uno degli interrogativi centrali di tutta la vicenda è se la poesia sia in grado di sconfiggere il male assoluto, incarnato in ultima istanza dal nazismo. Fritz spiega a Ithaka bambina che i nazisti possono guarire solo se qualcuno riesce a farli piangere di fronte a una poesia. Evangeline più tardi dirà che questo è possibile solo se la loro anima non è completamente animalesca o se la poesia ha un potere tale da sovvertire addirittura la natura stessa. Trovare una risposta definitiva è forse impossibile. Da un lato è arduo immaginare che la bellezza non elimini dai cuori ogni traccia di cattiveria e di negatività, ma dall’altro abbiamo esempi di nazisti stessi che amavano l’arte, la filosofia o la musica classica e apparentemente riuscivano a conciliarle con le loro convinzioni. Dove si trova dunque il confine? Una discriminante potrebbe essere il modo di intendere la poesia, ovvero se essa è considerata soltanto un piacevole passatempo o una ragione di vita. Sono sicura che chi vive la poesia e la bellezza, chi ne comprende l’essenza più profonda, comprende anche lo scopo ultimo nel mondo e del nostro essere nel mondo e quindi non può più desiderare il male di nessuno. Qui entrerebbe in gioco ovviamente la domanda se chi compie il male lo faccia deliberatamente oppure per ignoranza del vero bene. Un nazista ritiene che quello che fa sia il bene? E come scardinare questa visione? Fritz, da bravo romantico, ci direbbe che bisogna pensare di meno e sentire di più, lasciarsi pervadere, lasciare da parte teoremi ed elucubrazioni. La parabola di Siggi potrebbe fornirci qualche indizio in proposito, ma lì concorrono anche altri fattori, che toccano corde differenti… Mi piacerebbe sentire la vostra opinione dopo la lettura del romanzo!

Questo è un romanzo di ampio respiro, ricco di citazioni, di poesia che si incastona nell’impianto narrativo e in alcuni personaggi “speciali” (vedi Fritz). Da un punto di vista della struttura e della tecnica, come hai lavorato? Sicuramente c’è un rapporto forte con le lingue dei paesi di cui narri… 
Con Ithaka sono per così dire tornata alle origini anche io, infatti, come ho già raccontato, da bambina iniziai a scrivere poesie. In seguito, tra romanzi, Storia e politica, questa passione l’avevo messa un po’ da parte. Qui è ritornata, nei destinatari delle lettere, due poeti, nel prologo in versi (quartine a rima incatenata), che in realtà ho scritto alla fine, che è ambientato nel Paradiso dei Poeti e offre magari una chiave di lettura diversa all’intero testo, e poi nel corpo, che assume a tratti le sembianze di un prosimetro. Le poesie di Fritz completano la storia, la portano avanti, ne sono parte integrante, svelano dettagli, vivono anche dopo la sua morte. Il nostro cantore utilizza varie tecniche, versi sciolti, rime baciate e alternate, a seconda del suo stato d’animo e di quello che l’Ispirazione gli suggerisce. Scrive in tedesco, nonostante parli in greco, e qui ritorna il tema dell’identità. Queste poesie hanno trovato il loro posto naturale tra le pagine, non sono state aggiunte in un momento successivo. Non si tratta di orpelli o accessori. Molti dicono che la poesia è passata di moda, io dico che esisterà finché ci sarà l’uomo, nessun’altra tecnica può sostituirla. Le citazioni poi sono il mio pane quotidiano, le colleziono, le uso io stessa mentre parlo e per me conferiscono significati e sfumature nuovi alle espressioni e ai termini, senza doverli per forza esplicitare apertamente, potendoli lasciare a chi sa coglierli. Per quanto riguarda le lingue, ho pubblicato il romanzo in prima battuta in italiano, ma i personaggi non parlano quasi mai questa lingua. L’unico personaggio di lingua italiana è Matteo, il quale tuttavia comunica in tedesco con i protagonisti, pur conservando il suo accento. A casa Ithaka parla in greco, io conosco solo la lingua antica, ho sempre voluto imparare quella moderna. Il greco è una lingua creativa, con una struttura ariosa, flessibile, si possono comporre frasi di sei o sette righe senza un verbo, certo, era fatta per la filosofia, per la politica e per i pensatori, non come il latino che era nato per marciare e per costruire ponti ed era per questo molto più preciso e schematico! Nella seconda parte la lingua prevalente è il tedesco, che io parlo nella mia vita quotidiana. Quando immagino i dialoghi fra i miei personaggi, li immagino sempre in tedesco. Questo idioma ha enormi potenzialità, può esprimere con una parola o una particella concetti per cui in altri ci vogliono frasi intere! Ha vocaboli meravigliosi e non è affatto dura come dicono, anzi, forse lo pensate perché l’avete sentita solo nei film di guerra! In fondo, è la lingua del Romanticismo. Un particolare che mi ha sempre divertito è che i miei personaggi sono bavaresi, hanno quindi un accento molto evidente e riconoscibile, sul quale in altre parti della Germania si fanno sovente battute! Mi ritrovo a ridacchiare ogni volta che li sento parlare, peccato non poterlo trasmettere in italiano!

Che cosa rappresenta per te, “Ithaka”?
Una parte di me sarà per sempre affezionata a quest’opera e un’altra pensa che non raggiungerò mai più picchi così alti. In essa ho lasciato le mie più grandi passioni, la letteratura e la politica, i miei ideali, le mie speranze e i miei orizzonti. Contiene la mia eredità letteraria (il Manifesto dei Neoromantici) e mi auguro uno spunto di riflessione per ognuno, un personaggio in cui identificarsi, una riga, una fiammella di luce. È stato il mio primo romanzo storico serio, in cui ho lavorato con le fonti e cercato di rendere il tutto verosimile, forse non mi è riuscito sempre, ma non importa, in fondo “questa è più che la verità”. Per esso ho ricevuto i più bei complimenti che potessi sognare, come il fatto che sembri di essere presenti fisicamente in tutte le scene o che i miei personaggi eguaglino per complessità e spessore quelli della scuola russa e ucraina. È stato una meta, ma anche un punto di partenza. È stato la prova ulteriore che i protagonisti sono vivi, che vanno per la loro strada, che l’Ispirazione esiste, che le storie non ci appartengono mai veramente. Una curiosità: Ithaka e i suoi amici saranno pure a me vicini, ma non voterei mai il loro partito, soprattutto perché non vivo in Baviera e perché i tempi sono cambiati. Però stimo comunque il loro lavoro e ho sempre sognato di partecipare a una delle loro riunioni. Con Fritz invece passerei giornate intere a parlare di poesia, di religione con Nathan e Siggi. 

E ora: ci sono dei lavori in corso? Cosa vorresti realizzare?
Sto aspettando impazientemente la versione in tedesco di Ithaka, dovrebbe uscire a breve, non sto più nella pelle e sono curiosa di vedere l’effetto che fanno i miei personaggi nella loro lingua nativa. Per il momento ho alcuni romanzi storici sempre a sfondo politico in cantiere, a epoca e ambientazione ormai mi sono affezionata, ma tratteranno temi diversi, principalmente legati all’etica. Uno di questi è talmente di nicchia che non ha nemmeno una pagina di Wikipedia dedicata! Fino a qualche tempo fa avrei detto che questo sarebbe rimasto il mio unico campo di scrittura. Poi l’Ispirazione mi ha mandato in sogno (sì, letteralmente in sogno) un soft fantasy contemporaneo, sempre a sfondo politico, che non ho la minima idea di dove andrà a parare! Questo è il grado di autorità che ho io sulle mie storie.

Se vuoi aggiungere altro…
Che dovrei dire, ora? Seguite la vostra Ispirazione, sempre, che sia nella scrittura o in qualsiasi altra arte, fidatevi, lei sa. Ascoltate i vostri personaggi, lasciateli esprimere liberamente. Seguite la bellezza. Fermatevi a guardare i colori di una foglia caduta sul marciapiede o la chioma aranciata del larice. Andate all’opera a sentire Mozart. Un professore in visita nella mia scuola un giorno mi disse che invidiava i giovani che non erano ancora andati a sentire Mozart, perché significava che avrebbero potuto ancora provare l’emozione di farlo per la prima volta. Disegnate, anche se non siete bravi. Odorate il basilico e le arance, il loro profumo fa bene all’anima. Mangiate qualcosa di buono. Dite sempre grazie. Impegnatevi in politica, il mondo ne ha bisogno. Difendete il ricordo. Salvate qualcuno, se ognuno di noi lo facesse nessuno sarebbe perduto. Viaggiate, non importa se dall’altro lato del mondo o nel paesino accanto al vostro, c’è sempre qualcosa da scoprire. Imparate, è l’unica cosa che non vi verrà mai a noia. Amate. 

Scheda tecnica del libro
“Ithaka – Luna in Cielo e Rose in Terra”
di Federica Baglivo
Casa Editrice: DAE (Dario Abate Editore)
Genere: Romanzo Storico/Narrativa Contemporanea
Edizioni: Cartaceo e ebook
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