domenica 14 novembre 2021

Cattivi copywriting e le disgiunzioni: quando le parole escludono, l'etichetta è la conseguenza

Oggi non parlerò di scrittura creativa, ma di un argomento affine, molto delicato: l'uso delle parole a scopo esclusivo, dove per esclusivo intendo qualcosa che porta a isolare, dunque a creare discriminazione oppure (meglio se uso la e) delle polarizzazioni potenzialmente pericolose. Alla base di tutto, c'è l'attitudine a ragionare per slogan: frasi brevi, prodotti dei copywriter - e ormai di artisti e attivisti - che devono catturare l'attenzione dei consumatori o degli utenti, per far pervenire un messaggio. Sia chiaro, non è la demolizione del settore pubblicitario, a ognuno il suo mestiere... del resto ormai di pubblicità viviamo e il nostro assetto mentale è fortemente orientato in tal senso, anche dal punto di vista linguistico. Ma con quali rischi e pericoli a livello di percezione semantica e ideologica? Con quali errori possibili?

In questo articolo non vorrei postare degli esempi che poi sarebbero pubblicizzati; questo perché se è vero che la provocazione è qualcosa che colpisce, in particolare se si cavalcano onde tematiche ed emotive messe in risalto dai media (responsabili anch'essi di associazioni e assimilazioni linguistiche quantomeno discutibili ma che il bombardamento convalida grazie alla persuasione), dall'altra il danno può essere rilevante dal punto di vista delle percezioni collettive. Perché se per chi ha capacità interpretative legate a una cultura della profondità il rischio è ridotto, per chi invece è un consumatore acritico, queste parole e relativi accostamenti, danno adito a condizionamenti  mentali e comportamentali fortissimi. Ma arrivo agli esempi, partendo da un presupposto.

Una decina di anni fa andai alle riunioni di un gruppo di giornaliste e professioniste della comunicazione che ponevano tra le questioni quella delle declinazioni dei termini al femminile. Le battagliere femministe di oggi non hanno inventato nulla: io ero già presente allora. Questo perché ragionare anche al femminile, usando le giuste desinenze, significa attuare un'inclusione. Il linguaggio diventa uno strumento di trasformazione sociale. Ora una delle questioni calde di questi tempi è la schwa, bocciata dall'Accademia della Crusca in quanto sarebbe legata al tentativo di imporre un'ideologia (la gender). Non entro al momento nel merito delle motivazioni, né voglio esprimere giudizi affrettati, non in questo post, almeno. Di certo se vogliamo introdurre la schwa a scopo inclusivo, allora dovremmo imparare a utilizzare maggiormente la e come congiunzione. Invece, è un proliferare di o... di disgiuntive. Ma che accade nella realtà che vuole l'inclusione (almeno in teoria)?

Leggo in strisce di artisti, in campagne (che dovrebbero essere) di sensibilizzazione e nei post di utenti social, termini accostati in questo modo: o ami o sei fascista; o sei con me o sei contro di me; dato che si critica l'arte di un artista legato alla comunità LGBTQIA+ allora sei omofobo o transomofobo, quando la critica è rivolta al fare artistico (posso avere il diritto di dire che non mi piace un'opera? E magari l'artista è una persona stupenda, no?). Ho letto vere e proprie discussioni al vetriolo su queste polarizzazioni, con tanto di accuse-etichetta fatte da chi dovrebbe combattere i pregiudizi e se ne fa paladino... mi fermo qui con gli esempi, basta farci caso e sono sotto i nostri occhi.  

Al di là che accostare termini differenti tra loro, per significato e per valore storico, sociale e linguistico, dà adito a pericolose ed erronee associazioni e, se non nascono da incompetenze linguistiche, allora sono legate a una voluta strumentalizzazione del linguaggio... Il contrario di amore è odio; gli oppositori dei fascisti sono gli antifascisti. Legare un sentimento universale a un regime come termine oppositivo, per quanto tale regime possa nascere da elementi di odio, è quanto di più sbagliato ci sia. Significa plasmare identificazioni sbagliate, appiattire i reali significati, la portata profonda di ogni termine e, cosa grave, decontestualizzarli del loro valore storico. La parola fascismo non esaurisce in toto il termine odio e malvagità: non occorre essere fascisti per essere malvagi, la malvagità e la bontà sono distribuite in ogni dove e spingono a comportamenti che non hanno bisogno di bandiere per essere spiegati. Il tutto a partire dal fatto che il fascismo e gli atti a esso correlati sono da condannare, come tutto ciò che è totalitarista e limitante dell'umana libertà, nonché fomentatore di odio estremo. 

Ormai sembra che polarizzare sia diventata una grande esigenza. Come nel caso dell'ambito sessuale, dove una donna che si etichetta asessuale, poi dichiara di avere momenti di sessualità, cosa impossibile visto che la a è privativa. 
In una società che parla di inclusione, i termini disgiuntivi ricorrono spesso. Troppo spesso. Laddove al posto delle e (che congiungono) troviamo le o, non avremo speranza di includere, solo di moltiplicare le polarizzazioni, in una società che mira alla fluidità tanto invocata. Una contraddizione, confusione indotta o altro?

Be Kind
Di certo, se nella foto inserisco il messaggio Be Kind, non mi metterò certo a scrivere un post contro i cattivi copywriter. No, non parlo delle persone, nemmeno so chi siano; parlo del loro lavoro, in un post di critica costruttiva basato sulla gentilezza e sulla riflessione pacata. Senza etichette. 

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