giovedì 23 giugno 2022

"Canto del vuoto cavo", la poesia di Francesca Innocenzi oltre l'io, l'adynaton che meraviglia, scava e sperimenta

La parola, la sua rarefazione che s'intreccia al pieno illuminato, a figure retoriche spesso dimenticate dal verso libero odierno, insieme al sincretismo, sfrondato dell'io poetico. Il tu prende il sopravvento in questa poesia dove Francesca Innocenzi eleva un "Canto del vuoto cavo" (Transeuropa) in realtà pieno, pienissimo.

 "Canto del vuoto cavo": la sinossi
"Canto del vuoto" cavo è una plaquette di 60 componimenti brevi, che adottano la metrica dello haiku e delle sue varianti; precisamente, 40 haiku doppi (6 versi) e 20 tanka (5 versi). Ma la metrica è un mero contenitore rispetto a svariate tematiche attinenti realtà umane; gli elementi naturali, tradizionalmente in rilievo nello haiku, restano sullo sfondo. L’unico tratto coerente con il genere è l’assenza della prima persona: si evita di dire io e noi e di utilizzare verbi alla prima persona singolare e plurale.

Il titolo, incentrato intorno al concetto di vuoto, intende portare l’attenzione sulla bivalenza insita nello stesso: vuoto come lacuna e mancanza, ma anche spazio fertile di nuove possibilità.

I vari componimenti possono essere letti come un itinerario in versi, che temporalmente si avvia al compimento dei quarant’anni: si susseguono immagini e ricordi di un vissuto recente o remoto, come pure riflessioni suscitate dalla pandemia e punti di vista sulla società in genere: nel dittico del dio estremo si propone la tematica dello sfruttamento nel mondo capitalista, mentre le tre elegie dell’uomo comune vertono sulle variegate forme della “banalità del male”. 

Il mito occupa un posto di rilievo per la sua valenza universale, in grado di svelare l’umano di qualsiasi luogo e tempo. Nel trittico per Medea, in particolare, lo sguardo dell’altro si rivela essere una condanna, marchio del pregiudizio che colpisce inesorabilmente chi è «donna, straniera,/ pazza incantatrice». 

Dal punto di vista lessicale, si rileva una tendenza alla sperimentazione, con l’utilizzo di vocaboli in diverse lingue: il tedesco, l’inglese, il francese, il latino, il greco antico; una trasversalità dei codici linguistici che insegue l’utopia di una lingua poetica, che comprenda tutte le lingue, per una comprensione profonda tra gli esseri umani. 

La recensione
Al termine della lettura della plaquette, sono tornata indietro e l'ho letta. E alla seconda rilettura sono rimasta impigliata nel divenire di una poesia che riempie spazi vuoti. Una poesia essenziale, che si alimenta d'infinito senza compiacersi; via il lirismo che gonfia l'ego, qualcosa che odora di nuovo senza esserlo davvero, in un panorama Social fatto di vetrine ed ego, narcisi e sole-cuore-amore che si ripetono. 

Haiku doppi e tanka, il Giappone unisce l'Italia e poi il mondo. Nel poetare di Innocenzi c'è un anelito all'universale che attraversa il potere mortifero e fagocitante del capitalismo (il sistema stritola/chi non sta al passo), senza opporre una reale parola rivoluzionaria come accade nella poesia più militante; percezione del mondo che si rivolge alla natura e all'essere umano, nello scorrere del tempo colmo di contraddizioni e scivolamenti ("hic et nunc, qui e/ora il dio eterno,/il San Vicino").

Il presente si unisce al mito, tra Saffo e Medea, lockdown e ricerca di un orizzonte che guardi all'infinito. In questa raccolta troviamo il dittico e il trittico che completano sorte di quadri, nella saturazione del tutto, parola, poetica e fascinazioni.

Il linguaggio, le figure retoriche, l'intreccio che cerca fusioni lontano dalle omologazioni. C'è la consapevolezza poetica profonda, colta e vissuta, dietro a ogni parola, ai versi che compongono una sinfonia compiuta, fatta di contrasti e fratture. Il tu prevale sull'io, la tensione all'universale si esprime anche sfrondando l'io della propria presenza, un ingombro enfatizzato dall'età del narcisismo. L'adynaton, figura retorica si fa parola, espressione, oltre l'ineffabile che rende difficile il poetare. 

Ancora: "e poi diceva/si può fare poesia/meglio nel letto"; la poetessa sembra volerci dire qualcosa che va oltre, come se la poesia non riuscisse a esaurire la molteplicità dell'essere e del divenire, della lingua e del perdersi tra antiche costellazioni ormai dimenticate. 

Per concludere
"Canto del vuoto cavo" non è una plaquette che si fa dimenticare. Esplora linguaggi e contiene sincretismi, liberi dall'ego, cercando l'universo, oltre le contingenze. Versi che incidono, che evocano, che sanno di poesia che scava, sperimenta, gioca con l'infinito. Da leggere anche se non leggete poesia.  Un'autrice preziosa.

L'autrice: Francesca Innocenzi
Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). È laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche "Il viaggio dello scorpione" (2005); la raccolta di racconti "Un applauso per l’attore" (2007); le sillogi poetiche "Giocosamente il nulla" (2007), "Cerimonia del commiato" (2012), "Non chiedere parola" (2019), "Canto del vuoto cavo" (2021); il saggio "Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana" (2011); il romanzo "Sole di stagione" (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui "Versi dal silenzio. La poesia dei Rom" (2007); "L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom" (2010); "Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche" (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con il sito letterario Poesiadelnostrotempo. Ha ideato e dirige il Premio letterario Paesaggio interiore.

Sito web editore: clicca qui

(Comunicato a cura di Simona Mirabello)

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