"Elena non gli apparteneva.
Elena non sarebbe stata la sua bambola del sabato sera.
Spense la sigaretta con il tacco della scarpa.
Elena era una donna.
Il maltempo si stava avvicinando, lampeggiando elettricità. Invece di raggiungere gli amici per la cena in pizzeria, Simone tornò a casa.
Doveva affrontare il silenzio assordante che da troppo tempo aveva ottenebrato la percezione dei suoi sentimenti. Doveva fare pace con se stesso."
Fabienne
"Fabienne uscì dal retro del locale, stringendosi nel cappotto di lana cotta. Teo si era defilato e non ne sapeva neppure la ragione, per questo aveva deciso di tornare a casa da sola. Il palazzo non era distante: meno di un chilometro, ma le viuzze “non erano raccomandabili per una donzella – così diceva Teo – priva di gorilla”. La studentessa giunse fino in fondo alla stradina. Il freddo la faceva rabbrividire e lei non vedeva l’ora di raggiungere la sua stanza. Non poteva nascondere un certo timore, ma si ricordò la regola aurea dell’autodifesa: mai mostrare la paura, per non incoraggiare l’avversario.
All’angolo della via, due mani l’afferrarono, senza nemmeno darle il tempo di reagire. La ragazza fece per urlare, ma un palmo guantato soffocò la voce, mentre cadeva a terra. Nello stordimento, persa tra la paura e la stanchezza, sentì soltanto la lacerazione degli abiti e quella della pelle. Lacrime e sangue si mescolarono ai minuti, improvvisamente sospesi in una dimensione priva di riferimenti.
“Nicoletta non si muove. Resta lì, schiacciata dal peso dell’uomo…”
Nella semi-incoscienza le frasi di un racconto letto qualche giorno prima riecheggiarono come i rintocchi di una campana tra la nebbia."
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