In quel periodo, nulla andava per il verso giusto. Il senso di solitudine, la sensazione di essere presi in giro. Certo, io non avrei mai potuto cambiare un sistema, ma cercare di uscire dal coro è sempre stato, a mio avviso, il primo passo per cambiare qualcosa. Se qualcuno non lo fa, resteranno sempre le lamentele e l'accettazione di quello che passa il convento. Ma tutto dipende da noi, soltanto da noi.
Poi...
Arrivò il crollo. Come una botta in testa. Uno scoppio al petto, in una giornata di sole, quando la luce sembra avere un'influenza positiva sull'umore e sulla visione del mondo. Aspettare la primavera per vedere i fiori sbocciare, le gemme arricchire le chiome degli alberi, i cieli farsi azzurri. E arriva la sorpresa. La sensazione di non farcela ci prende e ci porta via, riprendendo il titolo di un bellissimo romanzo di Niccolò Ammaniti. Accade a tutti prima o poi, e più volte nella vita. Così, il dolore diventa malore; non vedi vie d'uscita, solo vicoli ciechi. Così mi pareva, quel giorno, e da giorni. Poi, sulla via che costeggiava il canale dove a volte passeggiavo a contatto con la natura, notai un seme. Lo raccolsi, lo osservai e mi sedetti sul sentiero. Un germano reale si alzò in volo di scatto, facendomi trasalire. Un lieve colpo di vento mosse il canneto che copriva in parte vecchie case coloniche ridotte a ruderi, campi di grano e di fiori, alternati a quelli d'erba. Osservai il seme, e allora mi sovvennero alcune recenti letture in versi di William Blake.
Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora.
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora.
La citazione dei primi due versi è riportata anche da un libro: Felicità in questo mondo. Un viaggio alla scoperta del buddismo e della felicità (Giuseppe Cloza).
Il volumetto, di rapida lettura, mi fu regalato alcuni anni fa da una bella persona. Io lo lessi e pur ritenendolo interessante, non lo sentii mio. Evidentemente non era il momento di coglierne il succo. Successivamente lessi altri saggi di diversa natura. Da Donne che amano troppo di Robin Norwood a L'età del narcisismo di Cristopher Lasch, arrivando a L'arte di amare di Erich Fromm. Negli anni, poi, mi furono regalati libri del genere self-help sulla felicità e sulla necessità di credere in se stessi. Insomma, libri che riflettevano parte delle mie necessità. Ma si sa, a volte non c'è peggior sordo di chi non vuole ascoltare, così, misi da parte queste letture per dedicarmi alla mia amata narrativa e per continuare a vivere le mie esperienze lavorative e umane. Me la raccontavo un po', anche, diciamocela. La sindrome del Principe Azzurro, a volte e purtroppo, affiora tra i pensieri.
Nel frattempo, a confronto, Bridget Jones era una fortunella, ma mi dicevo che, in fondo, avrei trovato le risorse per essere felice. (E raccontiamocela!!!)
Passarono altri anni e scoprii il self-help da autrice. Un viaggio interessante, grazie a How2 Edizioni, che mi diede nuovi input. Scrivere è pur sempre un atto che consente di scavare e di riflettere su se stessi.
Intanto, tutto scorreva e mi scivolava via dalle dita. La mia vita sembrava una grotta in cui potevo avvertire soltanto l'eco della mia voce. La timida adolescente riemerse, sulla scia di improvvisi rovesciamenti.
Non solo un terremoto, ma anche le batoste. Le delusioni.Sogni infranti. Tanta solitudine, mentre osservavo autrici più o meno note, circondate da un corteo di lettrici; mentre osservavo persone costruirsi vite che avrei voluto avere; mentre lasciavo andare al vento le ceneri di anni di lavoro, andato in fumo per non aver accettato certi compromessi (parlano bene, dal movimento Me Too). Ma nessuna invidia. L'invidia distrugge.
Un giorno un tizio mi disse: "Sei un'autrice bistrattata perché non hai fiducia in te stessa."
Forse un altro monito, ma... il ma c'era.
"In fondo le mie esperienze le ho vissute.
Non sono scesa a compromessi. In fondo siamo nel paese dei furbi, non della meritocrazia e i risultati si vedono... siamo al palo. Ma se scendi a compromessi passi per puttana. Se avessi scelto questa strada, non sarei qui... Se fossi scappata all'estero... Sono bravi a parlare questi che fanno parte delle cricche e leccano culi a destra e manca e per questo arrivano..."
Se, se, se. Il se ci fotte.
Per spegnerlo, mi rifugiai nella riflessione. Letture su letture. Riflessioni. Film. Chiacchiere con persone conosciute sul lavoro.
Mi sentii come il Siddharta di Hermann Hesse.
"Eppure era questa che bisognava trovare: scoprire la fonte originaria nel proprio Io, e impadronirsene! Tutto il resto era ricerca, era errore e deviazione. (Il figlio del Brahmino; p. 38)"
Siddharta compie una lunghissima ricerca che alterna la conoscenza della vita spirituale a quella più terrena. E in questa ricerca, si perde e si ritrova, arrivando a comprendere nuovi concetti. Il suo vissuto dimostra come la vita sia soggetta a continue trasformazioni, in accordo a quanto sostenuto dalla Legge della conservazione della massa (fisica), postulata da Lavoisier.
Andando in controtendenza rispetto alla visione occidentale e, diciamolo pure, a quella italica, basata su un immobilismo che uniforma una mentalità fatta di piccole cricche e di timore nei confronti del nuovo, questa visione mi fece scattare un campanello.
La felicità è qualcosa che nasce da noi e va vissuta in questa vita (pur potendo continuare a credere in un aldilà). La felicità, non intesa come apice raggiunto in un momento di meditazione e di immobilità, ma come condizione attiva che porta all'interazione con gli altri e a giocare sempre il nostro ruolo nella società.
Bei pensieri, ma quanto sono difficili da applicare, con il retaggio cattolico del senso di colpa, ben innestato in persone più sensibili e dotate di senso di responsabilità (e sincerità)!
A quel punto mi alzai in piedi. Il vento si fermò. Il sole era prossimo alla linea dell'orizzonte.
"La gente parlerà sempre, senza sapere quello che dice.
Poi, ripresi le letture, durante un'altra crisi nera.
Scoprii che la felicità non dipende da nessuno.
Non dipende dai se.
Non dipende da un deus ex machina.
La felicità dipende da noi e da come affrontiamo i problemi."
Presi il seme, lo osservai. In quel seme c'era il mondo. La vita. Era come il granello di sabbia di Blake.
Sospirai.
"In fondo tutto dipende da come osservi gli eventi e il mondo. La felicità è questo. La felicità viene da noi. Non dipende da un amore che può finire. Da un successo che può concludersi. O da altro che passa, lasciando dentro dolore e devastazione. La felicità consiste nel saper affrontare le difficoltà con la giusta attitudine."
Con il seme in tasca, mi rimisi in cammino.
Il sole tingeva di rosso il paesaggio. Il cielo era in attesa della prima stella della sera.
Mi fermai di nuovo. La felicità dovevo trovarla da sola. Dovevo trovarla. I sogni si sarebbero realizzati di conseguenza.
Così cominciò una nuova vita.
Il volumetto, di rapida lettura, mi fu regalato alcuni anni fa da una bella persona. Io lo lessi e pur ritenendolo interessante, non lo sentii mio. Evidentemente non era il momento di coglierne il succo. Successivamente lessi altri saggi di diversa natura. Da Donne che amano troppo di Robin Norwood a L'età del narcisismo di Cristopher Lasch, arrivando a L'arte di amare di Erich Fromm. Negli anni, poi, mi furono regalati libri del genere self-help sulla felicità e sulla necessità di credere in se stessi. Insomma, libri che riflettevano parte delle mie necessità. Ma si sa, a volte non c'è peggior sordo di chi non vuole ascoltare, così, misi da parte queste letture per dedicarmi alla mia amata narrativa e per continuare a vivere le mie esperienze lavorative e umane. Me la raccontavo un po', anche, diciamocela. La sindrome del Principe Azzurro, a volte e purtroppo, affiora tra i pensieri.
Nel frattempo, a confronto, Bridget Jones era una fortunella, ma mi dicevo che, in fondo, avrei trovato le risorse per essere felice. (E raccontiamocela!!!)
Passarono altri anni e scoprii il self-help da autrice. Un viaggio interessante, grazie a How2 Edizioni, che mi diede nuovi input. Scrivere è pur sempre un atto che consente di scavare e di riflettere su se stessi.
Intanto, tutto scorreva e mi scivolava via dalle dita. La mia vita sembrava una grotta in cui potevo avvertire soltanto l'eco della mia voce. La timida adolescente riemerse, sulla scia di improvvisi rovesciamenti.
Non solo un terremoto, ma anche le batoste. Le delusioni.Sogni infranti. Tanta solitudine, mentre osservavo autrici più o meno note, circondate da un corteo di lettrici; mentre osservavo persone costruirsi vite che avrei voluto avere; mentre lasciavo andare al vento le ceneri di anni di lavoro, andato in fumo per non aver accettato certi compromessi (parlano bene, dal movimento Me Too). Ma nessuna invidia. L'invidia distrugge.
Un giorno un tizio mi disse: "Sei un'autrice bistrattata perché non hai fiducia in te stessa."
Forse un altro monito, ma... il ma c'era.
"In fondo le mie esperienze le ho vissute.
Non sono scesa a compromessi. In fondo siamo nel paese dei furbi, non della meritocrazia e i risultati si vedono... siamo al palo. Ma se scendi a compromessi passi per puttana. Se avessi scelto questa strada, non sarei qui... Se fossi scappata all'estero... Sono bravi a parlare questi che fanno parte delle cricche e leccano culi a destra e manca e per questo arrivano..."
Se, se, se. Il se ci fotte.
Per spegnerlo, mi rifugiai nella riflessione. Letture su letture. Riflessioni. Film. Chiacchiere con persone conosciute sul lavoro.
Mi sentii come il Siddharta di Hermann Hesse.
"Eppure era questa che bisognava trovare: scoprire la fonte originaria nel proprio Io, e impadronirsene! Tutto il resto era ricerca, era errore e deviazione. (Il figlio del Brahmino; p. 38)"
Siddharta compie una lunghissima ricerca che alterna la conoscenza della vita spirituale a quella più terrena. E in questa ricerca, si perde e si ritrova, arrivando a comprendere nuovi concetti. Il suo vissuto dimostra come la vita sia soggetta a continue trasformazioni, in accordo a quanto sostenuto dalla Legge della conservazione della massa (fisica), postulata da Lavoisier.
Andando in controtendenza rispetto alla visione occidentale e, diciamolo pure, a quella italica, basata su un immobilismo che uniforma una mentalità fatta di piccole cricche e di timore nei confronti del nuovo, questa visione mi fece scattare un campanello.
La felicità è qualcosa che nasce da noi e va vissuta in questa vita (pur potendo continuare a credere in un aldilà). La felicità, non intesa come apice raggiunto in un momento di meditazione e di immobilità, ma come condizione attiva che porta all'interazione con gli altri e a giocare sempre il nostro ruolo nella società.
Bei pensieri, ma quanto sono difficili da applicare, con il retaggio cattolico del senso di colpa, ben innestato in persone più sensibili e dotate di senso di responsabilità (e sincerità)!
A quel punto mi alzai in piedi. Il vento si fermò. Il sole era prossimo alla linea dell'orizzonte.
"La gente parlerà sempre, senza sapere quello che dice.
Poi, ripresi le letture, durante un'altra crisi nera.
Scoprii che la felicità non dipende da nessuno.
Non dipende dai se.
Non dipende da un deus ex machina.
La felicità dipende da noi e da come affrontiamo i problemi."
Presi il seme, lo osservai. In quel seme c'era il mondo. La vita. Era come il granello di sabbia di Blake.
Sospirai.
"In fondo tutto dipende da come osservi gli eventi e il mondo. La felicità è questo. La felicità viene da noi. Non dipende da un amore che può finire. Da un successo che può concludersi. O da altro che passa, lasciando dentro dolore e devastazione. La felicità consiste nel saper affrontare le difficoltà con la giusta attitudine."
Con il seme in tasca, mi rimisi in cammino.
Il sole tingeva di rosso il paesaggio. Il cielo era in attesa della prima stella della sera.
Mi fermai di nuovo. La felicità dovevo trovarla da sola. Dovevo trovarla. I sogni si sarebbero realizzati di conseguenza.
Così cominciò una nuova vita.
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