lunedì 11 maggio 2020

"Occhi d'arsenico" di Roberta De Tomi - Racconti di scrittura creativa

La pioggia si rovescia su di lei, spilli gelati che sembrano bucare gli abiti, penetrando nella pelle, nell’anima, ricettacolo di opposte sensazioni. Deve allontanarsi da quella casa, dalla situazione, intuita come più torbida del terreno che sta calpestando. Spruzzi di fango finiscono sui jeans, ma a lei non importa. Non bada nemmeno ai cordoni sciolti delle scarpe, finché non si trova a terra, il ginocchio dolorante, dopo l’ urto con il sasso nascosto da un tappeto di foglie morte. Si alza lentamente, i palmi e il bomber, luridi, i pensieri turbinanti che sfociano nel cuore, inducendolo a battere fortissimo .
Voglio…



Un rumore interrompe l’intenzione. Nina si mette in ascolto per capire la provenienza. Intorno a lei, nemmeno la traccia dei colori dell’estate. Solo una cortina plumbea, calata senza preavviso sulla sua corsa pomeridiana, chilometri di terra fradicia, frutteti organizzati in lunghi filari, case diroccate, nuove residenze erette su dolci declivi. In queste, forse c’è un bambino che ascolta la melodia di un carillon. Lo stesso che ha visto cadere. E poi, il velo d’acqua. It comes the rain again. La sensazione di non essere sola. Nina riprende la corsa, ma poi si blocca.
Torna indietro.
Una voce maschile, famigliare. La donna scruta tra gli spilli che sfocano i contorni degli oggetti. Non vede nessuno.
Ascoltami. La verità di attende là, vai e scoprila.
Non è il vento a recarle sussurri lontani. È qualcos’altro. Forse deve tornare indietro, aprire la porta chiusa, abbattere l’orrore della follia cui ha assistito, non vista, dal vetro. Stringe i pugni, fino a farsi male. Ancora una volta si è comportata come una vile. Non ha mai avuto coraggio nella sua vita, ed è finalmente arrivata l’occasione per mostrarlo. Mettendo da parte ogni esitazione, decide di tornare indietro, anche se si sente la protagonista stupida di un film dell’orrore, quella che fa spuntare sulla lingua la geniale proposta di dividersi nelle situazioni più critiche. Proprio lei si sente così. Lei, impiegata quarantenne, due lauree e cervello pulsante, limitato solo dalla timidezza.
Imbocca la strada ghiaiata, il volto trasfigurato da un intimo dissidio.
Nina torna alla magione di campagna, abbandonata dopo il trasferimento del nonno a casa loro quasi vent’anni fa. Il tetto reca ancora le tracce delle tempeste che si sono succedute negli anni. Quella del 26 agosto 2009, non l’ha sfiorato, ed è stata una fortuna, perché nessuno sarebbe intervenuto per ripararlo dai danni che invece hanno colpito altre proprietà della Bassa modenese. Il quadro che si presenta è deprimente. La facciata stinta è parzialmente ricoperta dall’edera, il legno degli scuri e della porta d’ingresso è eroso dal tempo.
Il pensiero corre a lei. A Felicia, la sorellina teatrante, giocatrice degli specchi, amata da tutti. Nina invece è una sorta di controparte femminile di Zeno Cosini, incapace di risolvere le proprie nevrosi. Incapace di smettere di fumare, anche lei! Soltanto nonno Sergio non si era mai lasciato ingannare dai giochi delle parti della nipote più giovane, per cui spesso redarguiva Nina.
“Fatti furba, non farti fregare da lei” le ripeteva, ma lei non ci riusciva e subiva.
Nonno Sergio. Il suo sguardo di cielo, la saggezza che si stemperava nei racconti di deportazioni e boom economici, di primi vinili e televisioni, di sogni mancati e dolci illusioni. Le domeniche pomeriggio passate a guardare Don Camillo, mentre Felicia si destreggiava tra telefonate-fiume , primi appuntamenti, rossetti e riviste di moda.
In lui Nina trovava conforto. Era la Stella Polare cui si rivolgeva quando smarriva il cammino. Finché non è arrivata la diagnosi: tumore ai reni. I genitori avevano cercato di nasconderglielo, ma lei, ventenne guidata dall’intuito, era riuscita a scoprirlo, con orrore. Ciò non le aveva impedito di partecipare all’odissea. La chemio, la sofferenza condivisa, le veglie, i permessi presi da lavoro, i sabati sera tappati in casa. A nulla servirono i sacrifici della nipote prediletta: la Stella Polare si spense in una notte di mezza estate. Lo avevano trovato nel letto, l’espressione cristallizzata in un attimo eterno, che sembrava racchiudere un atroce segreto.
Nina.
Ancora, la sua voce. Fuga mnemonica nel passato. Il giorno del funerale. Un sole cinto da un laconico velo sfilacciato di grigio. Le finte lacrime di Felicia.
Ritorno al presente. La pioggia sta rallentando il suo corso. Fa meno male, ora, sulla pelle. La donna afferra la maniglia. La porta si apre sullo stretto corridoio. Lei vola sul pavimento, le orecchie tese, il cuore a mille. Raggiunge la cucina. A terra, i cocci del carillon infranto. Quello che nonno Sergio le faceva ascoltare quando la vedeva sola e triste. La melodia del film Love story, tenera e struggente, come la bimba che era.
Un rumore la scuote dal nuovo flusso mnemonico. Proviene dal piano di sopra, dalla camera da letto dei nonni. Dei passi, il rumore di qualcosa di pesante che viene trascinato. La paura la coglie mentre mette il piede sul primo gradino.
Una vertigine, seguita da frenesia di piedi. Rapidissima, entra nella stanza, vestita solo di un comò e di un divano. I suoi occhi neri sprofondano nel miele di Felicia. La bella tiene in mano Tina, la bambola della nonna su cui, bambina, amava soffermarsi. Porcellana nivea, labbra di fragola, boccoli di cioccolato, occhi in cui, bimba ,si perdeva.
La despota gliela mostra, trionfante.
“Se non sbaglio era la tua preferita. Come il carillon”.
“Perché?” la domanda scivola dalla bocca, spontanea.
Contiene tutti i quesiti che vorrebbe porle, ma che sul momento non riesce a pronunciare. Felicia rifiuta ogni mediazione che l’altra le propone. Afferra Tina per i capelli e inizia a farla roteare per aria.
“E se la lasciassi andare?”.
“Per favore, no!”.
Un nuovo sorriso viperinico. La sorella vincente mette sotto l’ascella la bambola ed estrae una bottiglietta di plastica contenente un liquido che sembra acqua.
“Lo so, mi vorresti chiedere tante cose. Tipo... Che cosa ci faccio qua. In realtà il caso ti ha condotta da me. A volte vengo qua a riflettere, come fai tu. E forse è ora che tu sappia alcune cose” pausa, poi, indicando la bottiglietta “Se ti dico Madame Bovary, tu a cosa pensi?”.
Nina si sente proiettata in una situazione brechtiana, di quelle che piacciono a Felicia.
“Dai smettila. E’ora di parlare chiaro” le dice, nervosa.
Non vuole perdersi in inconsistenti tetris verbali. L’altra raddrizza la schiena e imita le giornaliste della tivù, fingendo di sistemarsi occhiali immaginari.
“In un paese della provincia di Mantova piccole dosi di arsenico sono state trovate nell’acqua potabile. Secondo gli esperti, questa avrebbe causato l’alta incidenza di tumori ai reni presso la comunità”.
Si schiarisce la voce e continua.
“S.G., 74 anni, già affetto da disfunzioni ai reni, è deceduto a causa di un tumore la scorsa notte. Le cause sono state fatte risalire alle piccole dosi di arsenico presenti nell’acqua che beveva e che ha contribuito ad aggravare le sue condizioni di salute, portandolo alla morte. E chi ha messo l'arsenico nell'acqua?”.
Blocco.
Nina comincia a capire,a tremare, a porsi quesiti sulla sorella. Vorrebbe scappare, ma poi un soffio rassicurante le sfiora l’epidermide. Avanza lentamente verso la bella. Scuote i capelli fradici e l’ altra si ripara con le mani.
“Ma che fai?”
La bottiglia le cade, insieme alla bambola, recuperata dalla perdente. La sorellina cerca di strappargliela, ma uno schiaffo la ricaccia indietro. Ora è impotente. Nina si erge su di lei come un colosso, spegnendo il ghigno strafottente.
La quarantenne prende il cellulare e fa partire la chiamata.
“Pronto Commissariato? Vorrei denunciare…”.
Felicia freme, mentre la sorella, terminata la chiamata, le afferra i polsi, per impedirle di fuggire. Le mormora: Sono tua sorella, hai bisogno di me, non puoi farlo. Segue una spiegazione senza capo né coda. Lei vuole essere adorata, eliminare tutti quelli che, in un modo o nell’altro, sostengono Nina la sfigata. Nessuno avrebbe sospettato, visti i problemi di Nonno Sergio e le dosi minime che assumeva. Nei suoi occhi d’arsenico, scorge tracce di malvagia pazzia. O insana malvagità? Risposte sospese. Sa solo che Felicia, tolta la maschera, deve pagare per quello che ha fatto. Immagina già i microfoni sfoderati, le cascate di inchiostro e di parole versate per capire, catalogare, classificare ciò che sfugge alle definizioni, i flash che avrebbero cercato di illuminare il pozzo nero dei loro ricordi famigliari. Ma Nina si sente forte. Sa che nonno Sergio le è vicino. Avverte il suo calore mentre il motivo di Love story che ha in testa lascia spazio alle sirene della polizia.


@Roberta De Tomi 2007

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