venerdì 4 marzo 2022

Intervista a Fabiana Redivo: da "Il figlio delle tempeste" (Editrice Nord) a "Big Ben, pesci rossi e altre follie" (Dri Editore), "tutta colpa" di un'indigestione!

Il suo approdo alla scrittura risale a una ventina d'anni fa con Editrice Nord e in circostanze insolite: da allora Fabiana Redivo non si è più fermata, pubblicando romanzi di generi differenti, a comprova di una penna estremamente versatile. La chiave di tutto è sicuramente la curiosità, come sostiene la scrittrice triestina, recentemente uscita con "Big Ben, pesci rossi e altre follie" (Dri Editore). E pensare che la molla che ha fatto scattare tutto è stata... un'indigestione! Il resto ce lo racconta Fabiana.

 


Ciao Fabiana, benvenuta su La penna sognante. Raccontaci qualcosa della tua formazione, del tuo background lavorativo, di “cosa ami” e di “cosa ami meno”…
Grazie, è un piacere essere Tua ospite. Che dire di me? Sono una gran curiosa del mondo, lo sono sempre stata. Lo devo a mio padre. Quand’ero bambina, mi trascinava in mille imprese attraverso la lettura. Una volta alla settimana mi portava in biblioteca, mi indicava gruppi di scaffali con letture adeguate alla mia età e in quel piccolo-grande regno ero libera di decidere il tipo di avventura da intraprendere. Crescendo ho esplorato settori creativi di vario genere come, ad esempio, recitazione, canto (in coro), danza (folkloristica) e naturalmente la scrittura. Quest’ultima però è arrivata tardi, in età più matura. Nel frattempo avevo preso la Maturità Classica, formato una famiglia e vinto un concorso statale. Ecco, se devo proprio dire cosa amo fare di più, la risposta è: scrivere. Cosa amo di meno? In questo momento non saprei cosa rispondere, sono felice così. Però ho detestato a lungo il mio lavoro di funzionario giudiziario. Infatti mi sono licenziata nel 2011 dopo venticinque anni trascorsi nelle cancellerie e aule di udienza del Tribunale di Trieste. Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a resistere tanto a lungo.

La tua produzione letteraria è davvero ampia e variegata. Quando e come sei arrivata alla scrittura?
Come dicevo prima, ho iniziato tardi, nessun crescendo a partire dall’età adolescenziale. Probabilmente sonnecchiavo come un drago che custodisce il suo tesoro. Ho scelto un’immagine nobile ma la verità è che la mia attività di scrittrice è iniziata grazie a un’indigestione e sono stata pubblicata a causa di un panino. Mi diverte moltissimo raccontarlo. Durante una vacanza in Sardegna con mio marito, cenai in un agriturismo. Cena ottima e fin troppo abbondante. A causa della digestione difficile, quella notte feci un sogno stranissimo che si trasformò in una storia fantasy. Anzi, in una saga. Nel 2000, al termine della stesura del primo volume, mio marito mi costrinse a spedire il manoscritto ad almeno un editore. Io, che ci credevo poco, lo inviai unicamente alla Nord con una lettera davvero poco convinta nel tono. E infatti Gianfranco Viviani (il fondatore della Nord) s’era già organizzato per restituirmi il manoscritto senza nemmeno leggere una riga del tomo. Per mia fortuna quel giorno aveva deciso di rimanere in ufficio non-stop e per pranzo s’era portato un panino. Non avendo altro da fare, tra un morso e l’altro cominciò a leggermi. Fu così che invece del manoscritto mi spedì una proposta di contratto editoriale. D’altra parte, quando entri in un mondo parallelo durante una vacanza in Sardegna non puoi tirare dritto per la tua strada come se non fosse accaduto niente. Il resto viene da sé. Da allora ho sperimentato più generi letterari, anche sotto pseudonimo – che rimane blindato – e altri ne affronterò. Perché sono una gran curiosa del mondo e devo ancora crescere. Sai come funziona: quando scrivi, esplori mondi nuovi. Che poi, in buona sostanza, si tratta sempre di viaggi nella tua stessa anima.

Vengo al tuo ultimo lavoro: “Big ben, pesci rossi e altre follie” che sta ancora spopolando e ha ottenuto numerose recensioni. Raccontaci qualcosa di questo libro...
Dopo il successo di “Amore, karma e altri garbugli”, il mio editore, Thomas Dri, mi chiese se avevo qualche altra idea per un nuovo chick-lit. In questi casi non rispondo subito. Mi ritiro nel mio pensatoio, che poi sarebbe il divano, perché devo sognare il film, me lo devo gustare. Se mi convince, tiro giù il canovaccio della storia. In quel periodo avevo l’appuntamento per la visita dentistica di controllo e… il resto lo si intuisce dalla sinossi del romanzo. 

Chi sono i personaggi e cosa combinano?
I miei dentisti Astrid e Maurizio, alias Penny e zio Nick, sono personaggi già nella vita reale perciò non ho resistito. Ho chiesto loro se erano disposti a finire in un romanzo, anche se trasfigurati. Figurati se mi dicevano di no. Si sono divertiti un sacco a “leggersi”. Gli atteggiamenti, i modi di dire come “ognuno ha il dentista che si merita” o i tormentoni come “venga, non le farò del male…” sono autentici. Anche il manganello con la scritta “anestesia”. Per non parlare di Maurizio e delle sue mani grandi come pale. Uomo immenso dal cuore d’oro, burbero nei modi tanto da guadagnarsi il nomignolo di “zio Shrek” che ho riportato nel romanzo. Quanto ad Astrid, se non hai partecipato a campagne di gioco di ruolo assieme a lei, non puoi capire. È tutto e il contrario di tutto: candida e sagace, seria e buffa, disinvolta e imbranata. Adora i cavalli. Durante una campagna di D&D una volta si è rifiutata di mangiare la carne di un cavallo morto dalla stanchezza. Fu penalizzata nel recupero delle forze e lei sopportò le conseguenze senza un lamento. Le sue distrazioni nel quotidiano sono epocali ma non si verificano mai, e lo sottolineo mille volte, sul lavoro. Tutte queste caratteristiche sono finite nel romanzo. Quanto a Matt, nella realtà non ho punti di riferimento di alcun genere. Lui è stato partorito dalla mia immaginazione di sana pianta, creato su misura per Penny. La combinazione Matt – Penny ha funzionato. Io mi sono divertita un sacco a immaginare i loro incontri e i dialoghi surreali nati dai voli pindarici di Penny. Se l’autore si diverte, di solito il lettore lo avverte e si lascia andare.

Il mood è umoristico: è qualcosa che nasce da particolari esperienze, da una particolare visione?
Retaggio. A Trieste il mood umoristico si chiama “morbin”. In italiano non saprei trovare una traduzione calzante per questo termine, vediamo se riesco a spiegarmi. Mark Twain diceva: "è inutile prendere la vita sul serio, tanto non se ne esce vivi". Ecco, si tratta di questo. Nella città della Bora puoi sopravvivere solo imparando a camminare controvento, usando l’umorismo come zavorra.

A proposito di "morbin", hai scritto altre opere umoristiche… quali e focalizzandoti su cosa?
Il senso dell’umorismo lo trovi sparso in tutti i miei scritti. A volte si tratta di una lieve spolverata di pepe, altre diventa cardine dell’intera storia. Prendiamo, ad esempio, “Occhi nella nebbia”. Ho immaginato una Squadra Speciale Occultismo formata da quattro Carabinieri. Uno è un “telepate troppo carabiniere” per violare la privacy altrui ascoltandone i pensieri, una è una medium stravagante, poi abbiamo un prete mancato che ha buttato la tonaca alle ortiche per indossare la divisa e, dulcis in fundo, il mio preferito: il carabicantropo… o forse dovrei dire lycabinere… insomma, un appuntato fichissimo “troppo carabiniere” per trasformarsi completamente in licantropo. Una squadra di “potenziati” stravaganti e con un forte senso del dovere che combatte i mostri. A quel punto non potevo che ambientarlo nella mia città. Detta così potrebbe sembrare irriverente nei confronti dell’Arma. Invece no, lo si capisce dalla dedica: “alla mia città, ai suoi angoli nascosti e a coloro che la proteggono dai veri mostri”.

Quanto è difficile scrivere umoristico e a cosa bisogna prestare attenzione?
Difficile è tutto ciò che difetta di spontaneità, nel senso che da un sacco può uscire solo il suo contenuto. Nel mio caso direi che subentra anche il fattore ambientale di cui ti parlavo prima, perciò non ho incontrato molte difficoltà a immaginare situazioni comiche, spesso surreali, e a riversarle nei miei libri. Certo, bisogna fare attenzione a non esagerare. Perfino nella comicità a doppio senso si ottiene una maggiore efficacia se non vi sono cadute di stile. Il cattivo gusto penalizza sempre.

All’attivo hai opere di altro genere: quali sono quelle cui sei più legata e perché?
Sono particolarmente affezionata alla saga di Derbeer non solo perché ha segnato il mio esordio come autrice ma perché racchiude per simboli l’inizio del lavoro che ho fatto su me stessa. La scrittura è liberatoria, indipendentemente dall’eventuale pregio letterario. E poi, il protagonista dell’esalogia è mio marito. Che dici, lo amo davvero?
In “Amore, karma e altri garbugli” ho inserito parti autobiografiche riconoscibili per chi mi frequenta da anni, ogni tanto rileggo il capitolo n. 26. A questi romanzi aggiungerei “Onore e riscatto”. Si tratta di un romance regency ambientato nelle colonie britanniche occidentali. La protagonista agisce non proprio in stile Angelica Marchesa degli Angeli, ma ha un carattere forte, determinato. Una donna capace di prendere in mano la propria vita sfidando le convenzioni tipiche dell’epoca. Per amore, ovviamente. E per sé stessa.

Come consideri l’amore nelle tue storie? E nella tua personale visione di autrice e donna?
Come si fa a vivere, e quindi a scrivere, senza Amore? Quello con la A maiuscola è parte integrante delle mie storie. Prendiamo ad esempio “Aghjkenam, il segreto della città perduta”, un fantasy ricco di simbologie che può essere letto a più livelli. Perfino il più basso e concreto, quello della storia in sé, ha come collante l’Amore. Quello tra la strega e il guerriero potrebbe rivelarsi distruttivo perché appena nato, mentre quello tra il Signore dei Sogni e un generale ha connotazioni più romantiche in quanto già consolidato. L’amore puro non può ridursi a mero fattore fisico, è fatto di affinità, complicità, confronto e perfino scontro ma sempre nel rispetto reciproco. Se c’è un fattore che cerco sempre di sottolineare nello svolgimento delle mie storie, è che esiste un vero abisso tra l’attrazione fisica fine a sé stessa e l’amore. Scrivo ciò che sono e sento. 

Nella lettura, qual è il genere, quali sono i generi che prediligi?
Sono quasi onnivora. Dico quasi perché provo un’istintiva repulsione nei confronti dei bondage e degli horror troppo truci. Forse perché ho visto nel concreto quali sono gli effetti della violenza nelle aule giudiziarie. Dalla narrativa contemporanea ai classici, dalla poesia al poema epico, leggo e rileggo qualsiasi cosa mi attragga. Il genere varia a seconda dell’umore. 

Tra le tue pubblicazioni, uno rappresenta il legame con la tua terra: “La mia Trieste meravigliosa”. Quali sono le meraviglie di cui scrivi?
Mi fu chiesto da Edizioni della Sera di parlare della mia città attraverso una serie di racconti. Una sorta di guida turistica emotiva di Trieste. Ci trovi di tutto. Ricordi, fatti di cronaca, angoli noti e meno noti, il tutto condito da sano “morbin”, a volte perfino in dialetto. Non manca nulla, nemmeno il nostro rapporto con la Bora, l’insolito modo di ordinare un caffè e il rapporto tra noi e il resto d’Italia. Quest’ultimo punto credo sia difficile da capire e perfino da spiegare. Tra le nuove generazioni la nostalgia austriacante si è stemperata fin quasi a svanire però non posso fare a meno di ridere pensando che fino all’altroieri l’aquila imperiale veniva chiamata “galina con do teste” (trad.: gallina con due teste). Perché siamo fatti così, puoi essere chi vuoi, noi ti vedremo incastrato nel vasto panorama umano nel modo più prosaico possibile. Da un paio d’anni l’editore del volume è “Centoparole” che ha inserito fotografie in bianco e nero della città tra un racconto e l’altro. L’effetto è molto suggestivo.

A oggi, come consideri la tua scrittura? Quali evoluzioni hai notato, rispetto agli inizi, che cosa hai mutato?
Tutto si evolve e la scrittura va al passo con i tempi. È un mezzo di espressione e di comunicazione perciò l’autore deve utilizzare i meccanismi più efficaci per catturare l’attenzione del lettore, per dargli la giusta chiave d’accesso al sogno che le parole evocano. Perché in fondo si tratta di questo. Rispetto a vent’anni fa, la mia scrittura è cambiata molto. Un tempo, ad esempio, contavano le introduzioni di grande respiro, l’ambientazione doveva essere messa subito a disposizione del lettore. Adesso invece si preferisce entrare subito nel vivo dell’azione, se possibile usando i dialoghi. Ambientazione e descrizioni vengono inseriti a gocce, in punti strategici, senza rallentare il ritmo. Comunque non si tratta di una tecnica nuova, basta andare a leggere il ciclo dei Robot dell’Alba di Asimov. Dev’essere proprio vero che non solo tutto è già stato scritto, ma sono già state utilizzate tutte le soluzioni narrative possibili. Probabilmente ogni tanto spolveriamo un angolo diverso della Biblioteca Universale. Adesso va così, domani chissà… 

Progetti per il futuro?
Molti. Alcuni a breve termine in collaborazione con la Dri Editore, altri a lungo termine in self. Ma non voglio anticipare nulla. Se tutto è stato scritto, lasciatemi almeno il gusto di sorprendervi in modo diverso.

Se vuoi aggiungere altro…
Grazie per lo spazio che mi hai offerto, è stato un piacere. Diamoci appuntamento tra le pagine di un libro. 

Riferimenti
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