Bentornata, Lucia, è un piacere ritrovarti. Ci siamo conosciute con “Il cigno e la ballerina”, vuoi raccontarci che cosa è successo dopo l’uscita del romanzo? Che impatto ha avuto su di te, quali esperienze ti ha fatto vivere?
Carissima Roberta, il piacere è tutto mio. “Il cigno e la ballerina” ha rappresentato tante cose per me. Prima di tutto la trasformazione di una mia lunghissima indagine interiore in opera d’arte. È stato un veder venir fuori ciò che era dentro e osservarlo, guardarlo prender la sua strada che, parallelamente, era la mia strada, una strada che mi ha portato a una maggiore consapevolezza e soprattutto apertura, apertura al mondo. Ora, a differenza di due anni dall’uscita del romanzo, faccio delle cose che prima erano per me impensabili. “Il cigno e la ballerina”, creatura potente e schiva, mi ha presa per mano e dato forza, sicurezza, fiducia. Devo ringraziare il mio romanzo. Puoi rispondermi che sono stata io stessa a crearlo, sì, indubbiamente è così, ma vedi, ci sono parti in noi che, finché non prendono forma, restano dentro, silenziose e latenti. Grazie alla creazione del romanzo “Il cigno e la ballerina” ho dato forma a delle mie forze che ho potuto osservare finalmente davanti a me. Oh che emozione e che sollievo!
Dalla narrativa, torni al tuo grande amore, la poesia: che cosa troviamo in “Nitida, dallo spessore del cielo”?
Proprio così… Certi amori non finiscono e, come canta Venditti, fanno dei giri immensi e poi ritornano. In realtà, nonostante l’uscita del romanzo, la poesia non l’ho abbandonata, anzi, come tu sai, il mio romanzo è intriso di poesia … E nel romanzo stesso avviene una personificazione del genere poetico, la poesia diventa donna “Lei è un’elegante signora d’oro vestita che la notte, con passi vellutati, va a ricamare di sogni, barlumi e merletti le menti degli eletti. Gli eletti, che gente strana! Dall’aria distratta, con la mente lontana …”
E proprio grazie alle lontananze che la mia mente ha raggiunto, è nato il libro “Nitida dallo spessore del cielo”, consta di otto raccolte di poesie, ognuna di dodici testi poetici. In un tempo di crisi per la poesia dove regna la spettacolarizzazione della cultura, le mie raccolte esaltano il potere segreto, nascosto, nutrito nel silenzio del luogo interiore e, solo dopo, eventualmente, donato al mondo, ma sempre con riguardo, attenzione, cura. La poesia diventa immagine simbolica figlia dell’inconscio collettivo in grado di parlare all’umanità e congiungerla con l’irreale.
Il titolo è già poesia: a cosa alludi?
Proprio così … Il titolo della poesia, scelto da Ciro Cianni, curatore della collana “Letizia”, è l’ultimo verso della poesia “Dono agli antenati” contenuta nella seconda raccolta “Ancora un altro po’”. La poesia parla del dono del sorriso agli antenati invisibili e della possibilità di trasformare tutti i loro pianti in acqua che rende fertile la terra. E poi … appare il simbolo del cerchio e io al suo centro con le mie braccia come raggi in modo da segnare la sua circonferenza “nitida dallo spessore del cielo”. Ebbene sì, solo così lo spessore del cielo, in realtà intangibile, diviene nitido e percepibile dallo sguardo del poeta. È magia. Ma la poesia è magia.
A proposito: quanto cielo e quanta terra c’è nella tua poesia?
Nella mia poesia non ci sono solo cielo e terra, ma la natura in tutta la sua complessità fino a giungere all’ordine cosmico e universale. Spesso l’Io lirico diviene una cosa sola con la natura. Nella penultima raccolta, c’è una poesia in cui io “sono bosco, ho alberi con chioma d’ovatta e tronchi di spine” e invito il destinatario a venir da me, a trovar “castagni, pendii di gigli che si tingono di porpora”
Ci sono dei temi su cui ti focalizzi particolarmente? Quali e cosa costituiscono per te?
Principalmente “il senso della vita”. Tutti i temi che affronto hanno questa matrice che influenza e coordina. Considero la figura del poeta come, spesso, catalizzatore di energie superiori e invisibili che vengono captate nel momento dell’ispirazione.
Dal punto di vista tecnico e stilistico, come hai lavorato sulla versificazione?
Essendo la mia produzione figlia dell’impeto e conseguenza di una spontanea e fulminea spinta interna, prediligo l’uso di versi liberi, pur amando anche i testi con un ordine metrico che ha anche una valenza significativa e simbolica.
Sempre rispetto alla tecnica: qual è la tua prerogativa? Che cosa, invece, eviti?
Nelle mie poesie non mancano mai le figure retoriche che esaltano il valore simbolico del linguaggio. Prosaico e aulico si incontrano/scontrano generando immagini fortemente evocative. Evito ciò che è scontato, ciò che resta in superficie e comunica senza lasciare una possibilità di interpretazione alternativa rispetto al significato letterale del termine.
Come percepisci il tuo poetare in tutto questo?
In un mondo tumultuoso e che viaggia in superficie, percepisco il mio poetare come l’evasione e il viaggio nel luogo proprio e intimo e proprio per questo prezioso e di una forza incredibile. Percepisco il mio poetare come un andare in profondità, nei luoghi oscuri, alla ricerca di una fessura, una crepa e … da lì, che meravigliosa luce vien fuori!
Ci sono elementi che hanno particolarmente ispirato e che ispirano il tuo scrivere?
Sì. Il mio mondo interiore. È tutto lì. Ciò che ha avuto un impatto fuori da me, lo ha avuto perché sollecitava nuclei fondamentali miei interiori. Scrivo, a pag. 154 “Le tue palpebre sempreverdi/non conoscono stagione./Ed io ho perso ogni tempo/in cerca dei tuoi occhi.” E allora, in questi versi, ritrovo gli occhi, lo sguardo che non sono più occhi, che non è più sguardo, ma divengono palpebre sempreverdi che non conoscono stagione, quindi fuori dal tempo, e l’io lirico è in cerca dei suoi occhi e proprio per questo “ha perso ogni tempo” … Quali occhi ha perduto? Quelli dell’amato? O i propri? O la sua capacità di vedere ciò che oltre il terreno e tangibile?
E le palpebre sempreverdi, proprio perché “sempreverdi”, diventano una cosa sola con la natura, una parte del tutto (sentirsi parte del tutto, pensiero fondamentale nella mia poetica) e l’altro è alla loro ricerca, senza trovarli … Crediamo sia irraggiungibile ciò che è fuori dal tempo. Ma attenzione, la poesia ci insegna che non lo è.
Dopo questa seconda opera, come consideri il tuo scrivere e a cosa aspiri?
Aspiro, attraverso il processo di scrittura e di indagine, a trovare ancora di più me stessa, ad aprirmi al sé e allontanarmi sempre più dalla chiusura dell’identità egoica. Cerco panorami che non conosco, aperture che non immagino …
Progetti futuri, altri scritti nel cassetto?
Certo che sì! Ma non ne parlo ancora. Di sicuro, il meglio deve ancora arrivare …
Se vuoi aggiungere altro…
CHE TI RINGRAZIO E TI VOGLIO BENE!
Grazie Lucia, donna e penna meravigliosa! (La penna sognante)
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