25- Dicembre 2015 - Elena
Apro gli occhi sul presente. Con la testa sono ancora a Porta Genova, con il corpo sono sulla sedia a dondolo da cui il mio sedere trasborda. La usavo quando ero al liceo e pesavo quarantacinque chili. Ora ne ho messi in saccoccia dieci in più e prevedo di metterne altri tre (minimo!). Davanti a me, c'è l'albero di Natale. Non è circondato da pacchetti scintillosi. No, il pavimento, intorno è vuoto, le luci sono spente. I miei sono andati in montagna.
Io sono sola, in soggiorno.
Il cellulare è spento.
La televisione è spenta.
Dalla cucina non si spargono gli odori di carne e lasagne come accadeva gli anni scorsi.
Sistemo la coperta di pile sulle gambe, chiudo gli occhi e spengo la mia mente.
Il mio è un Natale senza regali, senza attese, senza neve che si posa sui rami dei pruni, dei noci e dei due salici chini sul canale che scorre sul limitare della mia proprietà.
Non ci sono più i Natali accesi dalle risate di noi bambini.
Non ci sono più le battaglie con le palle di neve, i pupazzi da fare e disfare, le corse a bocca aperta per catturare i fiocchi gelati.
Quegli anni hanno lasciato spazio a quelli degli errori e della tirannia del cuore. Le cazzate che battono al ritmo ormoneggiante di un desiderio coglione. E tu cammini sui cocci di quei vetri che ti fanno sanguinare le piante dei piedi e nella sofferenza trovi il tuo oblio e la ragione della tua rovina.
Ho perso la bussola per almeno sette anni.
E ora la sto riassestando.
Su quella sedia a dondolo che non dondola più.
In quel soggiorno dove i ricordi si annullano al ritmo del presente in cui trovo il mio ormeggio.
Respiro, tendo il braccio verso la tenda e la scosto.
Il cielo è un grumo grigiastro di pensieri indefiniti in cui non mi rispecchio. Lo copro, sollevo la coperta sul petto, chiudo gli occhi.
E aspetto che questo Natale passi, senza regali, luci, grida e neve. E senza auguri.
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