domenica 24 luglio 2016

Back in time: Elena che ballava tra i corridoi della scuola

Ogni passo arriva da sé.
Martha Graham diceva che i più grandi ballerini non sono tali per la tecnica, ma per la passione. Ma forse non basta la passione, anche se in queste ultime ore, mi sembra il contrario.
Braccia incrociate davanti al collo, piroetta, giro. Bacino, rotazione, salto.
Non vedo niente davanti a me. Tutto si svolge dentro, esternandosi in una sequenza automatica. Mi vedo ragazzina, insieme a Lubiana. Mi vedo ragazzina, in cerca di dare un significato alla mia passione.



Forse è il fatto di avere le ali anche se le ali non ci sono, a farmi amare le circostanze create da ogni coreografia.
Quando mi muovo, sento la libertà caricare una batteria interiore che prima ritenevo scarica.
Un altro salto, lontano da me, oltre quelle pareti.
Quando ero una ragazzina risolvevo i miei silenzi nell'intimità della mia stanza. A parte le magnifiche quattro, ero sola. Arrossivo per un niente. Piangevo per un moscerino nell'occhio. Sorridevo a quelli che mi buttavano nei bidoni dell'immondizia. No, non era la scena di un film, tipo La storia infinita, era la mia vita di perseguitata dai bulletti.
Nell'età in cui si è minimamente definiti, essere prepotenti è la più alta forma di identificazione, salvo scoprire che il bullismo per gli adulti è un male; ma è la prassi per gli adolescenti. E' quello che ti fa capire che, al mondo, o sei vittima o sei carnefice. Le vie di mezzo sono soltanto pie illusioni.
Così, me ne uscivo con la buccia di banana in testa, tra gli scherni delle fighette della scuola.
Loro, bocciate, tirate e griffate erano idolatrate. Io, invece, annusavo lo snobismo che sapeva di Chanel.
Poi arrivò quel giorno.
Il passo su me stessa, sulle punte. Il drappello di ragazzini intorno a me. Applausi. Le fighettine che masticavano bubble gum all'uva. Una di loro, la reginetta di bellezza, me ne lanciò una. Mi rimase attaccata tra i capelli, facendo seguire agli applausi le risate.
Ma io continuai a muovermi. A ballare, fino a far dimenticare della gomma trai i capelli che si muoveva con me. Mi mossi finché non avvenne quella cosa.
Ciack (non è un film americano!)
"Elena! Nel mio ufficio."
La preside, alterata, mi prese per il braccio e mi trascinò via dal palco improvvisato.
Arrivata nella gabbia presidenziale, abbassai lo sguardo.
"Professoressa, chiedo scusa."
Nerd sei e Nerd tornerai.
Anche se...
Una mano sulla spalla mi rassicurò.
Da corrucciato e severo, il volto passò a un sorriso inatteso. Poi ci fu la proposta.
"Insegnami i passi."


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