giovedì 27 gennaio 2022

Racconto - La stella

Papà mi diceva sempre di guardare le stelle, perché grazie a loro si possono avverare i desideri. Mi diceva anche che ci sono stelle più grandi e stelle più piccole, e stelle di colori differenti. Papà era astronomo e sapeva sempre dove guardare e per questo io seguivo il suo sguardo. Papà era la mia stella polare, scesa dal cielo per guidarmi e per guidare Astrid, Hermann, Hans e poi mamma, fino a che era con noi. Ma poi è nata Hildegard e mamma è salita in cielo. Da quando è successo, le stelle hanno iniziato a scendere dal cielo per mettersi sul petto. Non c'è lo spillo, ma la stella punge. La chiamano Stella Ebrea.

Papà non lo vedo più, da quando è andato alle docce. I miei fratelli e le mie sorelle sono spenti, smunti, magri. Abbiamo un numero, che è il nostro nome, e la Stella Ebrea. Altri hanno i triangoli e ogni triangolo ha un colore diverso. Papà mi ha spiegato le differenze ma io non ho capito. "Perché?" Gli chiedevo. "Siamo persone con due occhi, la bocca, le gambe, le braccia. Perché mettere i segni per fare le differenze?". "Perché qualcuno pensa di essere superiore agli altri" mi spiegava. E io non ho mai capito questa cosa.

Papà non è mai riuscito a spiegarmelo bene, perché per lui le persone erano come le stelle: diverse, ma ognuna con un proprio spazio nel cielo. Ognuna con lo stesso diritto di brillare, anche con ritmo e luce diversi. E allora, mi chiedo, perché?

Siamo riusciti a stare nascosti per anni, a sfuggire dalle persecuzioni, fino a quando un dottore non ha fatto la soffiata, come si dice. Ma intanto, abbiamo passato anni di solitudine. Anni a guardare la stella che era scesa dal cielo per sottolineare la nostra differenza. Anni di paura, di silenzi, di notti in lacrime, di speranza. 

Guardo la stella, ho freddo, una fame terribile, mi sento come se avessi le formiche sulla pelle. Tremo, voglio il mio papà, ma a quanto pare le docce fanno sparire le persone. Si sciolgono con l'acqua, formando gorghi che vengono risucchiati nello scarico. Ho paura, la stella sul mio pigiama a righe non è luminosa. Ho paura, il cielo sopra il filo spinato è sempre grigio e gelido e noi abbiamo freddo. 

Qualcuno ci ha detto che gli ufficiali tengono in vita me e i miei fratelli perché sappiamo fare dei lavoretti. Io, ad esempio, anche se fatico a imparare le cose, rammendo calzini, mutande e altri vestiti. Hermann e Hans hanno iniziato a lavorare in un campo di non so cosa, credo agricolo. Astrid è stata presa al servizio di un ufficiale. Ho visto una volta l'uomo che le posava la mano sul sedere, non so perché. Hildegard è stata adottata prima che tutto accadesse. Papà l'ha affidata ad amici americani. Forse lei è salva e sarà felice e bella, con quei suoi occhi celesti e la boccuccia come una rosa che la facevano sembrare una bambola.

Guardo la stella, fuori sento dei rumori, sento urlare. Qualcuno mormora: sono arrivati i soldati. Ma la mia stella è sempre lì, al buio, mentre, tra le grida, si spalanca la porta del rifugio, dove tutti siamo costretti, cercando di scaldarci con i corpi e con i fiati.
Io stringo la stella nella mano. Non vedo l'ora di toglierla.     

  

6 commenti:

  1. La libertà è come un fiore, se non lo annaffi muore.

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  2. Un'immagine luminosa e delicata, la stella, per raccontare uno dei momenti più bui e spietati della storia umana. Molto toccante.

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  3. Hai saputo tratteggiare in modo sommesso e delicato, seppur dolente, una realtà atroce e disumana; brava !

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