sabato 7 agosto 2021

RECENSIONE/RIFLESSIONE - "Il bambino che disegnava le ombre" di Oriana Ramunno: un criminologo, un bambino, un delitto tra gli orrori di Auschwitz

Quando leggo la parola Auschwitz, penso subito - credo, come quasi tutti - all'Inferno, ma ben lontano dall'esperienza dantesca. Questo perché, se per il grande poeta italiano il viaggio nell'averno è la tappa, pur terribile ma inevitabile, di una missione salvifica, per il campo di concentramento polacco il discorso si rovescia nel suo opposto. Auschwitz travalica il concetto di orrore stesso. Eppure, scavando al suo interno, troviamo sprazzi di umanità che mettono a nudo fragilità condannate dal regime nazista. Fragilità che tracciano i confini di un'umanità opposta al mito infallibile della razza ariana che si intende ergere sul trono del potere. Un'umanità che si nasconde e che emerge, disarmandoci, come accade nel romanzo "Il bambino che disegnava le ombre" (Rizzoli) di Oriana Ramunno. Un thriller storico che, partendo da un omicidio, apre agli intrighi che delineano sottotrame nascoste da quella grande trama che è la vita nel campo di concentramento.  


"Il bambino che disegnava le ombre": la trama
Quando Hugo Fischer arriva ad Auschwitz è il 23 dicembre del 1943, nevica e il Blocco 10 appare più spettrale del solito. Lui è l'investigatore di punta della Kriminalpolizei e nasconde un segreto che lo rende dipendente dalla morfina. È stato chiamato nel campo per scoprire chi ha assassinato Sigismud Braun, un pediatra che lavorava a stretto contatto con Josef Mengele durante i suoi esperimenti con i gemelli, ma non ha idea di quello che sta per affrontare. A Berlino infatti si sa ben poco di quello che succede nei campi di concentramento e lui non è pronto a fare i conti con gli orrori che vengono perpetrati oltre il filo spinato. Dalla soluzione del caso dipende la sua carriera, forse anche la sua vita, e Fischer si ritroverà a vedersela con militari e medici nazisti, un'umanità crudele e deviata, ma anche con alcuni prigionieri che continuano a resistere. Tra loro c'è Gioele, un bambino ebreo dagli occhi così particolari da avere attirato l'attenzione di Mengele. È stato lui a trovare il cadavere del dottor Braun e a tratteggiare la scena del delitto grazie alle sue sorprendenti abilità nel disegno. Mentre tutto intorno diventa, ogni giorno di più, una discesa finale agli inferi, tra Gioele e Hugo Fischer nascerà una strana amicizia, un affetto insolito in quel luogo dell'orrore, e proprio per questo ancora più prezioso.

La recensione
Non è "solo un thriller storico": "Il bambino che disegnava le ombre" è un romanzo che può essere ricondotto a più livelli di lettura. Le indagini di Fisher, pur essendo il cardine intorno al quale verte tutto, si configurano anche come un pretesto per sondare vari aspetti meno noti o non approfonditi dai programmi scolastici. Quando studiamo la Seconda Guerra Mondiale, almeno fino alle Superiori, ci soffermiamo sugli orrori compiuti al fine di eliminare gli ebrei. Ovviamente si contemplano gli eventi nella cronologia e si dedicano alcuni approfondimenti sulle deportazioni, visionando film o documentari dedicati. Ricordo che alle medie (parliamo degli anni Novanta) assistetti agli incontri con alcuni ex-deportati, testimoni di eventi realmente accaduti che noi ragazzi non riuscivamo a concepire nella loro estrema crudeltà. Racconti vibranti che, integrati alla visione di filmati di repertorio, fanno rabbrividire. Qui restiamo ancora sulla "superficie dell'orrore". Ma delle sperimentazioni e di diversi dettagli scabrosi - come di altri particolari, altrettanto significativi per capire la peculiarità della persecuzione agli ebrei - non ho saputo tanto, fino a quando non mi sono imbattuta in alcune letture che mi hanno permesso di avere qualche conoscenza in più su temi mirati.

Oriana Ramunno si focalizza sulle sperimentazioni in atto, altro orrore nell'orrore che conferma il disprezzo (e sto utilizzando un eufemismo) nei confronti degli ebrei. Esseri umani trattati come cavie, il cui corpo viene completamente piegato alle esigenze di una scienza che legittima con i propri assunti le leggi razziali e quindi la discriminazione, considerato un atto sacro. Corpi umani manipolati come se fossero bambole inanimate; anzi, le bambole sembrano godere di maggiore dignità. Tutto questo per quella stella che connota l'appartenenza a una "razza" considerata inferiore. 

Arriviamo a Gioele: sembra godere di uno statuto speciale, in virtù dei suoi occhi così particolari. Gioele è un bambino dotato di un'intelligenza che si esprime nel disegno. Mengele, dedito agli esperimenti sui gemelli, lo prende sotto la sua ala "protettrice"; ma non si tratta di una promessa di salvezza, poiché anche per il bambino, in quanto ebreo, il destino sembra essere segnato. Tuttavia proprio questo statuto speciale consentirà a Fischer di portare avanti le sue indagini, stringendo una singolare amicizia con il piccolo. 

Gioiele è il testimone chiave dell'omicidio del dottor Braun. Riferisce di voci e di rumori, come se il Blocco 10 fosse popolato da fantasmi. Questi fantasmi costituiranno gli indizi su cui il criminologo dovrà lavorare, facendo emergere rapporti e dinamiche torbide che sono ancora lontani dalla visione dell'infanzia. Le soglie proibite dovranno essere affrontata da Hugo, che si troverà a fare i conti con una serie di personaggi in bilico e con i segreti di chi, all'interno del campo, sogna la libertà. Troviamo personaggi spezzati dentro che cercano di giocare le loro carte per sopravvivere, laddove la morte è sempre qualcosa che non arriva a passo lieve.

Qui troviamo in prima battuta il dispiegarsi della terribile quotidianità di Auschwitz (e di Birkenau), reso con crudo realismo. Troviamo i reclusi uccisi per un capriccio o a titolo intimidatorio per gli altri; vittime involontarie, innocenti calpestati, vite ridotte a flebili lumicini. Troviamo anche le prassi degli ufficiali, il loro rapportarsi al regime, alle gerarchie, alle leggi che premiano il più forte. Tutte le massime sulla compassione e il perdono sono inesistenti. 

Disarma la figura di Hugo Fisher. Il suo passato di giovane che amava divertirsi, improvvisamente spezzato da un evento terribile, cui fa da contraltare un'intelligenza spiccata. La sua adesione al regime, che lo mette di fronte a una serie infinita di conflitti interiori che a volte si palesano all'esterno. Negli addendi che compongono il quadro del personaggio, risulta la somma finale di un'umanità profonda e sfaccettata che portano il lettore a empatizzare completamente con lui.    

La penna di Oriana Ramunno mette a nudo le contraddizioni intime e le motivazioni dei personaggi, incastrandoli alle sottotrame presenti, collegate alla principale con disinvoltura e senza sbavature. Una scrittura limpida, che non lesina a restituire i momenti più crudi delle vicende, evitando però di scadere nello splatter o nel patetismo volto a "fare effetto". Una scrittura che plasma scenari intrisi di colori e sensazioni intrecciati agli eventi narrati e al contesto storico, mantenendo sempre alto il livello della credibilità ma, al contempo, restituendo momenti di grandi emozioni all'interno di una trama precisa e ben cesellata. Un bel lavoro che premia il risultato. 

Per concludere
"Il bambino che disegnava le ombre" è un thriller storico che tocca diversi temi. La crudezza degli accadimenti e la crudeltà umana si scontrano con un altro lato dell'animo, tra segreti, intrighi che ora deviano ora sostengono le indagini. Una storia "con tante cose dentro" che può far riflettere su quanto accade oggi. Da leggere.   

L'autrice: Oriana Ramunno
Nata a Rionero in Vulture, vive a Berlino. Questo è il suo primo romanzo, che verrà pubblicato anche da Harper-Collins UK.

1 commento:

  1. Un thriller che tocca vari temi, c’è da fare i complimenti alla scrittrice. È un libro davvero interessante e credo che merita di essere letto. Grazie per la recensione.

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