"Elena?"
Non so come sia accaduto. Nel mio girovagare tra i navigli e i vicoli ciechi, l'ho ritrovato.
Alla metro di Porta Genova, in attesa dell'ultimo treno.
Ataru è senza occhiali e con la faccia stropicciata dal pianto. Io, invece, ho stropicciato il cuore e le gambe che mi portano indietro e poi avanti, al ritmo degli occhi febbrili che vogliono bloccarmi.
Ataru infila la mano nella giacchetta e allora penso che tutto quello che ha fatto e detto sia stato tutto il frutto di un gioco.
Ataru è ancora iscritto all'ordine. Ataru è ancora nel pieno della sua corsa e quello che ho visto è stato soltanto lo scherzoso pit-stop di un amico che voleva dirmi qualcosa.
Ataru estrae una biro. Non il cartellino. Volge il palmo della mano a lui e scrive qualcosa che mi mostra, avvicinandosi.
E vedo...
Un cuore al centro del palmo. E' attraversato da una freccia e sotto noto alcuni punti in evidenza. Rossi: la biro che ha usato è rossa e io devo strizzare gli occhi per mettere a fuoco i tratti.
Il treno passa, la gente sale e scende, il cuore dalla mano batte nel cuore.
Io mi avvicino e faccio aderire il palmo.
Ataru si stacca, prende la biro e si scrive qualcosa sulla fronte.
Un gruppetto di ragazzi si ferma e legge con me il nome di Elena.
Poi accade che lui urla il mio nome, gira su se stesso.
Moonwalk e poi.
"Elena io sono Giovanni. E tu chi sei?"
Risatine, perplessità e l'ultimo treno che è passato.
Giovanni è nudo davanti a noi. E' se stesso. Non il giornalista che voleva essere, non il sogno che inseguiva una chimera.
"Ora ho capito."
Stupida.
Sono una stupida mentre il telefono squilla.
E Lubiana mi parla.
Ridendo.
"Elena, strappati da lì... sono dietro di te!" ridacchia ancora "E Ataru? Ti ha proprio scritta in fronte!"
E' uno scherzo?
Abbasso il telefono e mi volto.
Verso l'America Dream fatto donna.
(...)
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