"Io almeno ho il coraggio di inseguire i miei sogni."
Le parole di Lubiana mi arrivano come una serie di schiaffi che percuotono la linea di demarcazione tesa tra coscienza e ambizione.
Arretro, volgo le spalle a Lubiana. Qualcosa mi colpisce costringendomi a volgermi di nuovo. La rivista è a terra. L'arrivo di un convoglio provoca uno spostamento d'aria tra le pagine e il caso ferma all'intervista famigerata.
Lubiana calpesta il giornale. Ruota il piede in modo che i fogli si stropiccino fino allo strappo.
"Sono queste le tue fonti?"
"Ci sono anche i racconti di Carmen e Giulia. Di Giulia, soprattutto."
Lubiana sorride, trionfante,
"Ti ricordi quella cena? Ero forse io quella che se la faceva con Massimo?"
Un altro schiaffo, questa volta alle mie certezze, all'incrollabile necessità di avere conferme da fuori per non risolvere le incertezze che mi arrovellano. E' sempre di altri, la colpa della mia incompiutezza.
Lubiana lacera le pagine con furia. Calpesta i brandelli di carta che al passaggio di ogni treno si disperdono come coriandoli di un Carnevale dimenticato.
Tendo una mano, esito, poi la appoggio sul braccio teso per fermarla. Riesco a bloccarla anche se è più forte di me. Lubiana non oppone resistenza. Si ferma, mi guarda, ci guardiamo poi scoppia a ridere.
"Era ora."
"Era ora... cosa?"
"Finalmente prendi una cazzo di posizione." mi fissa, fulminandomi "Nella prossima vita magari avrai quelle per inseguire i tuoi sogni."
"Quelle... quali quelle?"
"Le palle."
La mano scivola, scivolano i pensieri e i silenzi interrotti dalla fiumana di persone in discesa e in salita.
E' quasi mezzogiorno, la luce aspetta fuori dalla metro. Aspetta fuori mentre io sono dentro, in attesa della seconda vita e del karma benefico.
In attesa di un altro schiaffo, del risveglio della mia determinazione, oltre l'esterno. Intanto i brandelli del giornale sono dispersi nella banchina e la verità assume un'altra fisionomia.
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