sabato 20 maggio 2017

E siamo qui a vedere l'alba - 20 Maggio 2012 - 20 Maggio 2017

Il termosifone vibra per alcuni interminabili secondi. Le palpebre scattano come una serranda automatizzata: mi sollevo sui gomiti, sprofondano nel cuscino. La luce entra dagli spazi franchi delle tapparelle abbassate, non ricordo più se è quella della luna o quella del lampione del mio dirimpettaio. L'unica certezza che ho si è esaurita lasciando però una scia d'inquietudine. La sensazione di qualcosa in arrivo. Mi stendo di nuovo, chiudo gli occhi, ma le ore successive sono scandite dai rintocchi di un dormiveglia confuso. Immagine sfocate si alternano a tremori interiori. Mi sveglio con la stanchezza tra le ciglia. Un'occhiata alla sveglia: il tempo sta rallentando il suo corso.




Tic-tac, faceva la sveglia nel corpo del coccodrillo che perseguitava Capitan Uncino.
Tic-tac, come in quella canzone di Gwen Stefani.
Finalmente gli occhi si chiudono. Sto per sciogliermi nel sonno, quando un boato mi risveglia. Lo sento, sale dal basso facendomi balzare fuori dal letto. No, non è possibile.
Esco dalla mia camera, quasi mi scontro con mia madre che mi guarda senza capire che cosa sta accadendo. La casa si muove, io grido quella parola: "Il terremoto!". Istintivamente afferro la borsa con dentro il cellulare.
Mio padre si affaccia sul corridoio, io grido, tutti e tre facciamo quello che non va fatto. Spiegalo al cervello in pappa da panico che non si va sulle scale. Sull'ultimo gradino, nessuna esitazione: la paura ci spinge tra i mobili traballanti che potrebbero caderci addosso al nostro passaggio. Superiamo la scarpiera, entriamo nel soggiorno dove la cristalleria balla nelle vetrinette che restano miracolosamente al loro posto. Saltellano come ragazzi pronti a pogare nel bunker dove, ragazzini, si andava a ballare rock pesante.
Passiamo oltre, a destra nello stretto corridoio da cui accediamo alla tavernetta. Sentiamo per un attimo le bottiglie cadere dallo scaffale, ma non ci fermiamo quando ormai l'ingresso è vicino. Giro la chiave nella serratura della prima porta, quindi apro quella blindata con le mani tremanti.
Il boato è sotto di noi, l'urlo della Terra sale alle orecchie. Spingo alla mia sinistra il chiavistello, spalanco il battente e mi fiondo fuori, seguita dai miei.
La notte è umida. Entra dai pori, si trasmette alle ossa, insieme ai rumori che attanagliano le emozione. Dal cancelletto basso si affaccia qualcuno. Mio fratello. Dietro, la sua famiglia.
Le urla si intrecciano a quelle sotterranee che premono per seminare il panico. Si estinguono, lasciandoci allibiti, incerti sul da farsi, sulle condizione in cui versa la casa, provata dalle spinte.
Restiamo fermi, poi qualcuno ha l'ardire di entrare in casa per recuperare qualche coperta.
I bambini tremano, si abbracciano, il loro cagnetto arriva mugolando. Ci stringiamo in quell'attimo, in cerca di calore prima che di risposte. I bisogni primari pulsano imponendosi tra priorità indotte.
La notte è silenzio intervallato da sirene che scattano a random e voci lontane che aleggiano come fantasmi in una casa abbandonata.
"Ma che ore sono?" chiedono i bambini.
Mio padre esce da casa.
"Le quattro. Ho visto il televideo. Terremoto con epicentro a Bondeno. Ma sono notizie approssimative."
"Secondo me l'epicentro era più vicino."
"E ora, cosa facciamo?"
"Dobbiamo aspettare."

Così abbiamo aspettato l'alba. Abbiamo atteso, cercando una parola scherzosa, spaventandoci a una seconda scossa, arrivata mentre ricevevo la chiamata di un'amica.
Eravamo lontani.
"Eccola, arriva."
Un altro boato, la terra che grida.
Restiamo fermi, dopo aver appurato che siamo lì, nelle nostre vestigia mortali.
Aspettiamo le luce dall'orizzonte, per capire cosa fare.

"Quanti ne abbiamo?"
"20 maggio. E c'è stato il terremoto."
"E noi siamo qui, a vedere l'alba."
(ma non è finita)

#terremoto2012-2017



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